Quo usque tandem abutere patientia nostra?
Fino a questo segno!
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Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER
domenica 27 gennaio 2013
giovedì 24 gennaio 2013
Non va Bene per niente
Leggo oggi dai vari giornali la
notizia del momentaneo cambio di nome del movimento CasaPound in CasaBene, il
tutto per via di un processo per diffamazione intentato dalla figlia del poeta
Ezra Pound verso coloro che lei non ritiene siano degni di utilizzare il nome
del padre. L'associazione ha dunque deciso di cambiare intestazione per un
giorno omaggiando Carmelo Bene in virtù dello spirito provocatore e
scandalistico che ha accompagnato la carriera dell’attore/regista/poeta (e
quant’altro) salentino. Per farlo, si sono rivoltati alla sorella dello stesso
chiedendone il permesso la quale ha risposto – aderendo all’iniziativa – via
telegramma con queste precise parole: “Carmelo viveva sempre la sua vita come
una ricerca e una provocazione. Ma a differenza di Pasolini, non mescolava arte
e politica, e non ha mai ceduto alla politica. Da vivo e da morto,
politicamente, Carmelo è stato tirato per la giacca da ogni lato. Così ho
aderito a questa iniziativa. Con lo spirito provocatorio con cui lui ha
vissuto”.
Preciso subito che,
nell’occasione, a CasaPound non imputo niente se non l’indelicatezza di tirare
sempre in ballo (politico) persone che oltre a non essersi mai chiaramente
schierate non possono neanche più eventualmente risponderne in prima persona.
Il che non è mai bello, perché etichettare cadaveri con opinioni postume
(soprattutto un cadavere come quello di Carmelo Bene che già aveva in antipatia
il quotidiano e il sociale da vivo, figuriamoci da morto) equivale al
revisionismo storico più becero e propagandistico.
Più che altro sono esterrefatto,
perplesso e propenso a vedere cretineria pura nella risposta della sorella di
Bene, Maria Luisa, perché se è pur vero che Carmelo sia “politicamente stato
tirato per la giacca da ogni lato” è ugualmente vero che ha sempre preso le
distanze da una qualsiasi classificazione ideologica, dato che in più di
un’occasione ha stimato e disprezzato tanto la destra quanto la sinistra. Del
resto, l’attivismo politico non rientrava nel suo modo di interpretare il suo
(non) essere. Credo che il critico e/o studioso che stia ancora cercando di
capire da quale parte fosse schiarito non abbia assolutamente capito niente di
Bene.
Ma il vero colpo di genio sta
nella chiosa del telegramma, vale a dire “così ho aderito a questa iniziativa.
Con lo spirito provocatorio con cui lui ha vissuto”, che non fa altro che
ribaltare improvvisamente tutto quello che si è detto prima. Detto in una
maniera meno intellettualoide e contorta, il telegramma praticamente dice “Bè
vedete, ragazzi, a Carmelo non interessava la politica. Per questo motivo, ho
deciso di permettere che voi appiccichiate il suo nome su un movimento
politico”, che a ben pensarci rimane sempre un pensiero contorto, ma per lo
meno non fa giri di parole.
Non so se il legame di sangue dia
anche il permesso di gestire il pensiero di chi non può più rispondere in prima
persona ma c’è un qualcosa in me che mi fa supporre che a quel Bene Carmelo che
non si sentiva appartenente a niente – né a se stesso, né alla famiglia – la
cosa non sarebbe andata giù, e ci tengo a precisare che parlo del fatto di
venire schierato politicamente da morto, non che lui non si fosse potuto
benissimo schierare con CasaPound.
Io purtroppo di Bene non ne so
molto, ho solo letto tutte le sue opere letterarie e visto tutti i suoi
spettacoli, film e interventi televisivi reperibili in video oggi. Un caffè con
lui non l’ho mai bevuto, né tantomeno l’ho potuto chiamare “fratello”, però due
cose di lui mi sovvengono: la prima risale al suo intervento nel Maurizio
Costanzo show del 1994 quando lui in persona urlava in faccia a Luigi Lunari
“basta con le provocazioni!”, ormai stanco di questa etichetta affibbiatagli da
chi non l’ha mai veramente capito riuscendo a vedere in lui solo la rockstar
trasgressiva e superficiale. La seconda, di un anno dopo, è questa:
domenica 13 gennaio 2013
Il "Ka" è una ruota
Caratteristica
principale della Fortuna (sia essa intesa come Fato o come portatrice di
benessere) è quella di mutare, immersa in un ciclico girare e non a caso il suo
simbolo è la ruota. Prendete la decima carta dei tarocchi e la ritroverete là,
immobilizzata nel continuo ruotare, la cui struttura è ispirata alla visione
descritta nel libro di Ezechiele, circondata da animali mostruosi che sono in
genere una sfinge, una scimmia e un cane (anche se a volte quest’ultimo viene
sostituito da un diavolo). La ruota è variabilità, è caos programmato, ma è
anche motore generatore, principio meccanico che dà origine al movimento delle
cose e della vita; per questo motivo nelle raffigurazioni più antiche dei
tarocchi la ruota presenta una manovella che denuncia questa natura. Collegato
a questo concetto c’è un termine antico, carico di storia e cultura che ritorna
più volte in civiltà diverse. Questo termine è il “Ka”, forse le due lettere
più cariche di fascino di tutto l’alfabeto. Le ritroviamo nella cultura
dell’antico Egitto (indicante, molto semplicisticamente, l’anima di una
persona) e rispuntano in quella indiana (che identificano, tra le altre cose,
un principio cosmogonico della religione). Chi volesse leggere qualcosa in
merito, non ha che da recuperare “Ka” di Roberto Calasso (Adelphi, 1996, 26
euro). Ma non finisce qui; le due lettere infatti sono presenti anche nel campo
scientifico e rappresentano la costante di dissociazione acida. E’ quasi un
affascinante mistero quanto queste due semplici lettere possano tramutarsi e
racchiudere in se stesse tanti significati e tanto simbolismo, ritornando più e
più volte come, appunto, il giro di una ruota.
Ma su
quest’ultimo concetto è doveroso nominare una delle più belle saghe delle
letteratura contemporanea, e cioè quella della “Torre nera” di Stephen King,
dove appunto il concetto del “Ka” è interpretato come il destino di ognuno dei
personaggi della storia (e di tutti noi). Tutti i sette romanzi che
costituiscono la saga (otto, se consideriamo lo spin off edito quest’anno
con il titolo italiano de “la leggenda del vento”) sono incentrati attorno a
questa idea secondo la quale il Ka in qualche modo tende a legare le vite di
tutti noi, non a caso la frase chiave che viene ripetuta più volte nel corso
dell’opera è “il Ka è una ruota”.
C’è davvero da riflettere molto
su questo dettaglio, soprattutto per la semplicità con cui l’autore ha ridotto
ai minimi termini il grande discorso che i Greci e i Romani facevano a
proposito del ruolo della Fortuna/Tyche (a tal proposito, si legga l’articolo a
pag. 13) intesa come l’ineluttabilità del destino che però ritorna
continuamente in forme più o meno simili. E del resto Lucrezio stesso,
scrittore latino del I sec. a.C., riprendendo le parole del filosofo Epicuro
(IV-III sec. a.C.) sentenziava “eadem semper sunt omnia”, vale a dire “tutte le
cose sono sempre le stesse”, anticipando così la teoria della ciclicità storica
che in seguito sarà postulata da Marx (1818-1883), il cui nome, Karl, per una
meravigliosa coincidenza contiene il succitato Ka.
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Simbolo
giovedì 3 gennaio 2013
L'insostenibile pesantezza delle tette
Nicole Minetti al mare
Nel mentre ci accingiamo a veder
comparire antiche facce brutte, inceronate e stirate che solo l'innaturalezza
di chi non dovrebbe più presentarsi al pubblico può avere, ecco che le pagine
di gossip si affollano nuovamente dei volti dei politici nostrani. Perché si
sa, il malcostume della politica italiana è affare da penisoletta fatta di
pizza, mandolini e doppipetti sporchi di sugo e talvolta di cocaina, affettando
cordialità e presunzione da Vespa e incellophanando verità per casalinghe dalla
D'Urso.
D’improvviso rispuntano amenità
varie tra un Grillo che fa i tuffi sul pubblico manco fosse Kurt Cobain e un Napolitano
che sorseggia caffè al Gambrinus di Napoli rispondendo soavemente in dialetto a
una signora che lo esorta a fare del bene per i “guaglioni” di oggi (lei, poi,
lo va a dire a un tizio che tecnicamente la rappresenta ma che non se la sente
di far sapere al popolo che ha alle sue spalle cosa dice nelle telefonate:
praticamente è come parlare con Cutolo). E scartabellando nel torbido patinato,
affiora – galleggiando metaforicamente – una Nicole Minetti che prende il sole
e Miami e diventa oggetto di chiacchiera de “la Repubblica delle donne” che
quando si interessa ad argomenti del genere si avvale della facoltà di
aggiungere un “buone” tra la penultima e ultima parola. L’articolo, la cui
gradevolezza e utilità è pari a quella della carta vetrata a posto degli
asciugamani da bidet, è incentrato sul seno dell’ex consigliere che, guarda un
po’, sembra strabordare dal suo generoso bikini e i suoi continui tentativi di
tenerlo al suo posto. Ma il lettore viene prontamente ammonito: “Resta comunque
un esempio da non seguire almeno per chi pratica il bon ton al mare”.
Purtroppo siamo italiani, e queste
notizie ci toccano. Però cerchiamo di leggerle come andrebbero lette, vale a
dire – in questo caso – con un finale “resta
comunque un esempio da non seguire”. Punto.
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