La voce urlava da lontano, o forse era tutta nella mente del
pastore.
“Dopo di me verrà un altro ancora più potente di me. Io non
sono nemmeno degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali. Quando egli verrà la
terra deserta si rallegrerà e fiorirà come il giglio. Gli occhi dei ciechi
vedranno la luce del giorno e le orecchie dei sordi si apriranno. Il neonato
poserà la mano sui nidi dei dragoni
e condurrà i leoni per la criniera!”.
Il pastore finì di mangiare il pezzo di formaggio che aveva
portato da casa. Si rannicchiò sotto una palma e provò ad addormentarsi.
“Chissà da dove viene quella voce”, pensò. Attorno a lui, soltanto sabbia e la
linea dell’orizzonte dolcemente ondulata dalle dune. Poi guardò il cielo
socchiudendo gli occhi.
“Mamma che strano il cielo stanotte” disse tra sé. “E’ così
nero e profondo tanto da sembrare che questa notte non abbia mai fine. S’è pure
mangiato tutte le stelle, non è rimasta che qualche lucina sparuta qua e là”.
Perché in effetti quella notte il cielo era un manto freddo che sembrava avesse
ingoiato la Terra. Tutto era silenzio, neanche un filo di vento che fischiava,
la natura era immobile. Solo la voce ogni tanto scompigliava un po’ le cose.
“Non ti rallegrare, terra di Palestina, se il bastone di
colui che ti colpiva è stato spezzato. Poiché dalla progenie del serpente
nascerà un basilisco, e il figlio di questo divorerà gli uccelli!”
Il pastore, che era perso nei suoi pensieri, sussultò a
quell’ennesimo grido venuto dal nulla. Ma che diavolo voleva dire, quella voce?
Di che diavolo blaterava? Ma chi lo capiva e soprattutto, chi gli prestava
ascolto?
“Sarà qualcuno di quei soldati romani ubriachi fino
all’osso, ripieni di vino speziato e la bocca che puzza di garum”. Cosa diavolo ci facevano dei romani in quella terra così
lontana da casa, vallo a capire. Non gli bastava fare i padroni a casa loro,
adesso dall’Occidente erano arrivati in Oriente per comandare e imporre la loro
pax a colpi di spada.

Il pastore scorse due piccole stelle che brillarono per un
attimo e poi sparirono. “Forse qualcuno di quegli dèi di cui parlano e che
stanno in cielo ha aperto e chiuso gli occhi” pensò. “O forse era qualcuno
lontano che voleva vedermi. Forse era mia madre. Chissà com’erano gli occhi di
mia madre. Chissà com’era mia madre. Non l’ho mai conosciuta, e vorrei tanto.
Io ho conosciuto un po’ mio padre, ma appena appena, perché poi ho conosciuto
la terra. Non c’era tempo di parlare e conoscersi. C’erano i campi da lavorare,
da bagnare spesso con l’acqua, perché da queste parti seccano facilmente, e
allora bisogna mantenerli umidi il più possibile; e così ho fatto, con la
schiena spezzata dal continuo chinarsi, e le braccia dolenti per lo spostare
zolle di terra. Ma alla fine il mio orto ha dato frutti, ho visto la vita
nascermi tra le mani e con cura l’ho fatta crescere rigogliosa: la mia fatica
aveva avuto un senso. Poi sono venuti loro. E hanno recintato il mio campo,
dicendomi che non era più mio. E quando ho chiesto il perché, mi hanno risposto
in latino affinché io non capissi e loro potessero continuare a fare quello che
volevano. Hanno preso i miei frutti, ed è stato come se mi avessero preso la
vita. Hanno rubato il mio sudore e il mio sangue. Quando ho protestato mi hanno
bastonato. A me sono toccati poveri scarti, il resto a loro”.
E di nuovo la voce rimbombò nel vuoto: “Dov’è colui la cui
coppa è ormai colma di abomini? Dov’è colui che, vestito d’argento, morirà un
giorno davanti al popolo intero? Ditegli di venire affinché possa udire la voce
di colui che ha gridato nei deserti e nei palazzi dei re!”
“I palazzi dei re sono un inganno” rispose di rimando il
pastore, “urlano la loro grandezza, ma rispetto alla terra su cui poggiano sono
piccolissimi. Il loro sfarzo strepita forte, ma alla fine si perde nel silenzio
di questa notte. Risplendono di mille colori, eppure questo buio così nero sa
come inghiottirli. Tutto qui è scuro, non c’è traccia di luce in questo cielo
senza più anima”.
E poi una linea. Una linea solcò il cielo tagliandolo a
metà. Luminosa, sembrava uno squarcio nel velo dietro il quale si nascondeva il
sole. Nitida, chiarissima, cavalcò l’aria per quarantamila e quarantamila
cubiti, viaggiando così veloce da far alzare un forte vento al suo passaggio.
La voce parve notarla e infatti disse “È venuto il momento! Quello che avevo
predetto si è avverato. È venuto il giorno di cui avevo parlato e sento sui
monti i passi di colui che sarà il Salvatore del mondo!”
La linea luminosa rallentò e, fermandosi, si ridusse a un
puntino brillante. Il pastore lo fissò per un istante, e subito dopo volse lo
sguardo intorno a sé.
E poi a un tratto l'amore scoppiò dappertutto.
Quella luce lontana sembrava chiamarlo. Anzi, sembrava
chiamare a sé tutti gli uomini e la natura stessa. Il pastore si alzò
scrollandosi la sabbia di dosso e seguì il tracciato opaco che la linea
luminosa aveva lasciato, fin quando non lo portò a un gruppo di persone strette
intorno a qualcosa, alle quali mano mano se ne aggiungevano altre, venute dai
posti più disparati. Percorrendo l’ultimo tratto del percorso, udiva la voce –
ormai lontana – sfumare nel vuoto: “sarà seduto sul suo trono. Sarà vestito di
porpora e di scarlatto. Terrà in mano un vaso d’oro colmo delle proprie
bestemmie. E l’angelo del Signore Iddio lo colpirà. E sarà mangiato dai vermi.”
Giunto abbastanza vicino da poter vedere cosa stava
accadendo, vide che, esattamente in corrispondenza del puntino luminoso, una
madre stava allattando il proprio figlio, assistita dal marito. Entrambi
sembravano provati per un lungo e penoso viaggio ma in qualche modo in quel
momento preciso le loro ansie e dolori sembravano tacere, intente anche loro a
osservare il punto luminoso nel cielo.
Il pastore vide il bambino e d’un tratto percepì
quell’infante come se fosse la madre che non aveva mai conosciuto, il padre con
il quale non aveva mai parlato, la fatica che non aveva trovato riposo, i
frutti dei quali non aveva potuto godere. E allora gli porse una lunga serie di
domande, tutte mute.
Il bambino guardò il pastore e in lui vide il sudore, la
prima brina che bagna le piante dei campi coltivati, vide i muscoli, tesi e
asciutti come le assi di una vecchia barca che riposa al sole, e vide le mani
nodose per via dei calli cresciuti a furia di maneggiare utensili. E poiché il
bambino era il figlio dell’Uomo, riuscì a vedere negli occhi del pastore gli
occhi di tutti i pastori del mondo. E dei contadini, dei fabbri, degli operai.
E vide gli occhi degli ultimi e delle vittime; di quelli che muoiono gridando e
quelli che muoiono senza neanche saperlo. Vide gli occhi di un poliziotto,
quelli di uno studente, di un sindacalista, di un magistrato, di un poeta, di
un calzolaio, di una prostituta, di un professore, di un ferroviere, di un
immigrato, di un pescivendolo, di un ladro. E d’improvviso sentì su di sé la
stanchezza del mondo.
“Voi uomini avete chiesto di me qui sulla Terra e io sono
venuto” disse il bambino. “Ma voi stessi un giorno mi rinnegherete, e non
quando avrete appeso il mio corpo esangue e le ossa disarticolate al legno, ma
quando dimenticherete la vostra stessa dignità marciando a passo d’oca verso il
disprezzo degli altri; mi rinnegherete dimenticando il verbo e scegliendo la
forza, e mi rinnegherete non al canto del gallo ma al sussurrare della civetta
perché amerete il buio che nasconde piuttosto della luce che rivela. E mi
rinnegherete perfino negli onori: infatti mentre oggi tre sovrani si inchinano
a me, un giorno io sarò costretto a inchinarmi – per vostro volere e colpa –
davanti a potenti che in realtà potenti non sono, ma solo uomini che mi hanno
rinnegato già prima di voi. Mi rinnegherete, infine, perfino nel più grande
insegnamento che ho da darvi: mi rinnegherete nell’amore. Questo amore che
stanotte è esploso con forza stracciando il cielo e scompigliando la sabbia un
giorno sarà solo il pallido ricordo di un momento che fu e che ritorna soltanto
nei canti, nei sogni e nelle statuette di argilla. Eppure, ciononostante,
ancora una volta, eccomi qua. Perché nonostante tutti gli uomini mi
rinnegheranno, tu non lo farai e siccome la tua vita, da sola, è migliore di
quella di tutti gli uomini del mondo, io la onorerò concedendole la mia”.
La notte avvolse tutto l’orizzonte. Lontano, tra le dune e
le rocce, una rosa sbocciava e si tingeva di rosso.
(P.S. In questo racconto sono state volutamente inserite svariate
citazioni di natura letteraria e musicale. Riuscite a trovarle tutte?)