D. D. “Dylan Dog” ha subito un cambiamento, un’evoluzione: in qualche
modo è andato avanti adeguandosi ai tempi, adottando la strategia di
case editrici come la Marvel, che tende ad aggiornare i supereroi
proprio per non distaccare troppo la realtà del fumetto da quella
dell’attualità. Questo processo ti ha fatto temere di snaturare il
personaggio oppure lo hai vissuto come un fenomeno del tutto normale?
R. R. No, io non credo che abbiamo ripreso gli
stilemi Marvel. La Marvel azzera i personaggi, li fa ricominciare perché
di solito il personaggio ha un calo di vendite. Dylan Dog è sempre
stato un personaggio che sin dalla sua origine è stato nel mondo
presente: andava al cinema e vedeva i film che c’erano in quel momento
preciso. Succedeva nell’86 e poi è andato avanti fino al 2000; poi a
poco a poco si è un po’ adagiato in un “non mondo” e quello che abbiamo
fatto è stato riportarlo all’idea originale, cioè un personaggio che
vive nell’epoca presente ma è un’operazione radicalmente diversa da
quella Marvel, non vuole essere in nessuna misura uno stravolgimento,
anzi, è un ritorno alla formula originale.
D. D. Buona parte del successo di Dylan Dog è stato
anche dovuto al fatto che gli anni ’80 – il periodo in cui è nata la
testata – sono stati un po’ gli anni in cui l’orrore e la paura hanno
avuto tanta linfa e tanto seguito. Oggi i registri narrativi della paura
sono inevitabilmente diversi e forse proprio i fumetti sono il media in
cui attecchiscono di meno, soppiantati da altri media più immediati e
“reali” come il film o il videogioco. Secondo te oggi come oggi il
fumetto è ancora capace di trasmettere il senso della paura?

D. D. In ultimo, passiamo a “Orfani” il lancio
editoriale di cui sei autore. Abbiamo visto che c’è una seconda stagione
(il fumetto è diviso in stagioni, come un serial televisivo n.d.a.) in
parte ambientata qui a Napoli: la città è stata scelta per un motivo
particolare o semplicemente per il fascino che può avere in sé?
R. R. Io amo molto Napoli. Ho esordito con le pagine
dell’Eura (casa editrice, n.d.a.) venti anni fa con una serie che si
chiamava “Napoli ground zero” e che era una serie di fantascienza a cui
“Ringo” (la seconda stagione di “Orfani”) si ispira. La storia doveva
partire dal Sud verso il Nord, quindi Napoli mi è sembrata la città
perfetta. E poi Napoli è già quasi una città del futuro, ma di quel
futuro alla “blade runner”
D. D. Un po’ un limbo del futuro…
R. R. Sì, esatto, un limbo del futuro dove convivono mille tendenze,
mille culture, mille società che si mescolano con l’alto e il
bassissimo. E’ già una rappresentazione di un certo tipo di futuro.
(Roberto Recchioni è nato a Roma il 13 gennaio 1974.
Sceneggiatore e disegnatore di fumetti, ha lavorato con Rizzoli, Magic
Press, Panini, Disney e Bonelli, per la quale attualmente sta curando la
gestione di “Dylan Dog” e “Orfani”, serie da lui ideata assieme al
disegnatore Emiliano Mammucari.)
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