Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

giovedì 5 novembre 2015

"Suburra" - recensione del film






“Suburra” è bello, mi è piaciuto, vale la pena vederlo. Sollima ha fatto un buon lavoro e lo si vede tutto sullo schermo. E’ un film corale, gli attori non hanno molti spazi per brillare, ma in qualche modo lo fanno lo stesso grazie alla loro bravura e grazie al regista che riesce adeguatamente a valorizzarli, soprattutto in alcune scene semplicemente montate con forza in una maniera che a quanto pare finora solo Sollima riesce a fare.
In pieno stile De Cataldo – a quanto pare apprezzato dal regista – il film è la versione romanzata di fatti reali, perché ciò che interessa non è fare un lavoro cronachistico-storico degli eventi ma raccontare come i meccanismi e gli equilibri (crollati) che hanno creato questi eventi, delineando paradigmi volti a descrivere come va – e come andrà – avanti la politica e i rapporti che essa intreccia con la criminalità. Infatti così come “Romanzo criminale” era un frammento di realtà travestito da pièce teatrale e così come “Gomorra” è una narrazione generazionale costruita su di un saggio di giornalismo investigativo, allo stesso modo “Suburra” si presenta come, per dirla con le parole di Kafka, una “descrizione della tragedia dell’uomo moderno”. E della tragedia il film possiede le maschere, reali più che mai (proprio in quanto tragici): il politico, il criminale, il mafioso, l’imprenditore. Ed essi agiscono seguendo le trame reali della vita, dunque il politico farà intrallazzi, il criminale ucciderà, il mafioso ruberà e l’imprenditore cercherà il suo posto nel mondo a colpi di soldi fin quando le loro vite (e i rapporti spesso impari che legano tutti tra di loro) non crolleranno sotto il peso di pressioni insopportabili.
E poi c’è la pioggia, costante del film e intuizione drammaturgica quasi allegorica che sin dall’inizio allaga una Roma che sembra annaspare per poi essere sommersa da tutta quest’acqua che le frana addosso. Come si diceva, bello il lavoro del regista che lo si riesce ad apprezzare durante la visione.
Ma come spesso accade, ciò che mi lascia perplesso di un’opera del genere non è tanto il prodotto quanto lo spettatore. Nel mio angolo di cinema ho avuto l’impressione che il pubblico piuttosto che leggere la maschera leggesse il personaggio, tentando di dare un nome (“è Carminati? E’ Ratzinger? E’ Berlusconi?”) a ruoli che non vogliono essere identificati perché stanno recitando una parte eterna, un meccanismo che si ripeterà sempre all’interno dello scenario politico. E’ come se lo spettatore, troppo annoiato dal leggere le cronache delle vicende, chiedesse al film di fargli un sunto di ciò che è successo, rischiando così di leggere la vicenda reale esattamente come raccontata dalla pellicola. Ma le cose non stanno così. Non sono andate perfettamente così. E questo non accade per una mancanza di sceneggiatura ma perché – come si diceva prima – il film non è un racconto biografico ma un dramma, e il dramma funziona se sa mescolare adeguatamente la realtà con la fantasia, la cronaca con il romanzo. Non è un caso che questi spettatori mi abbiano ricordati quelli che di “Gomorra” hanno registrato quasi solo ed esclusivamente le battute che hanno reso famigerata le serie, ma non hanno fissato il dramma reale – per esempio – costituito dalle porte blindate che la camorra installa nei vari palazzi (per facilitarsi la fuga) impedendo spesso agli stessi abitanti di passare.
E dunque io ho paura di questo, ho paura del pubblico che va al cinema per apprendere una notizia, per informarsi tramite grande schermo. Ma sul grande schermo l’unico tipo di informazione che ho visto passare è stata quella dell’istituto Luce, che non mi sembra un granché come lezione giornalistica. “Suburra” è un ottimo lavoro, e come tutti gli ottimi lavori va analizzato sapendolo collocare nella sua giusta dimensione altrimenti rischia di subire il torto più grande che un’opera possa avere: quello di essere fraintesa.

lunedì 2 novembre 2015