petizione contro la chiusura della stazione zoologica di Napoli
petizione per ridurre gli stipendi ai parlamentari
petizione per ridurre gli stipendi ai parlamentari
Come mi è
capitato di scrivere altrove, mi piace studiare la Storia per poi successivamente
vedere quanto bene riesca a ricollocarsi tra le pieghe della nostra quotidiana
attualità. Io che mi ritengo amabilmente catastrofista, non ho potuto fare a
meno di inorridire (e ridere) quando ho letto, qualche giorno fa, delle “nuove”
brillanti trovate della ditta Governo Monti, la quale, giustamente, per far
quadrare i conti disastrosi di questo disastrato Paese ha ben
pensato di fare ulteriori tagli alle spese e questa volta è stato il turno
della cultura. Nello specifico, a dover mettere la testa nella ghigliottina
della Monti S.p.A sono state le istituzioni culturali e scientifiche
considerate “minori” (come se poi esistesse la cultura “maggiore” o “minore”,
ma vabbè, d’altronde questo è quello che ci si deve aspettare quando si affida
la conduzione di uno Stato agli avvocaticchi e i tecnocrati finanziari).
A fare (parte)
delle spese della crisi italiana (che è stata legittimamente votata per circa
20 anni a questa parte) è dunque ancora una volta, l’unico campo che, per
quanto incredibile o favolistico possa sembrare, effettivamente potrebbe dare
una spinta propulsiva e benefica al risanamento di uno Stato che si avvia alla
deriva, vale a dire la succitata cultura. Doppia stangata, inoltre: assieme
alla soluzione finale verso i centri culturali che non fanno più di 100
proseliti, vengono aggredite ulteriormente le università italiane che, essendo già
dei modelli esemplari mondiali di eccellenza (sono le stesse che hanno sfornato
quella marea di avvocatuncoli che, sostenendo l’esame di abilitazione alla
magistratura, ha riportato una discreta serie di errori grammaticali che
farebbe invidia a Lucignolo), vantano ora quote di iscrizione ancora più alte
per ogni fascia contributiva. Espediente brillante, non c’è che dire, per
accorciare le file agli sportelli delle varie segreterie: solo che mentre nei
paesi civili le file si restringono per via dei servizi realizzabili grazie ad
una rete internet con banda gratuita e libera da 100 mega, qui diminuiscono perché
sempre meno saranno i diplomati che considereranno utile investire 5 anni e
migliaia di euro per un corso di studio che non da sbocchi lavorativi. Un corso, tra l'altro, ideato
dalla Gelmini (ve la ricordate? E’ quella sottospecie di maestrina
dalla penna rossa che pensava che tra Ginevra e il Gran Sasso ci fosse un
tunnel sotterraneo di 700 km. Un ideale ministro dell’Istruzione durante il
governo Berlusconi, insomma).
Ecco, sono
proprio le piccole analogie tra il mandato di Berlusconi e il whatever it is di Monti che mi fanno un po’
paura e un po’ riflettere (e anche un po’ sorridere, dato che per mia fortuna
sono un cinico). Fondamentalmente, l’incapacità di risolvere i veri problemi
dell’Italia affrontandoli di faccia è la stessa. Quello che manca sono le
donnine dell’ “Orgettina”. E forse due o trecento leggi ad personam, questo lo ammetto. Ma per il resto, non posso che
guardare con relativo sgomento l’abisso della ignoranza nel quale si
punzecchia, ferisce e pugnala a morte la cultura, ultima ruota del carretto Italia.
Così era sotto Berlusconi, Bondi e Gelmini e così rimane sotto Monti, Ornaghi e
Profumo. Alzo le mani, sia ben chiaro. Non sono ancora giunto al “si stava
meglio quando si stava peggio” e peggio del governo precedente credo che solo
un nuovo governo degli stessi di cui sopra potrà fare. Però quella sensazione
di pressapochismo culturale, quell’immagine di mensa pauperorum nella quale alla cultura viene chiesto di mettersi
in ultimo perché i bocconi migliori spettano ad altre braccia, ce l’ho ben in
mente. E non fosse per altro, non solo per averla avvertita di recente, ma
anche per averla intravista nei libri di Storia sebbene in parti inverse.
Ricordo infatti un Mussolini con la riforma Gentile del 1923 che innalzava l’obbligo
scolastico, un Napoleone che invece la scuola – quella pubblica – la istituiva
per la prima volta e nelle sue campagne militari portava con sé un manipolo di
studiosi, letterati, archeologi e scienziati, e un glorioso Alessandro Magno
che, tra i vinti, risparmiava chiunque conoscesse a memoria i versi de “la Pace”
di Aristofane.
E non è un
caso se ho volutamente menzionato tre personaggi che hanno finito per indossare
i panni del monarca. Gli esempi ci devono far capire che anche la persona con i
più biechi intenti, per assicurarsi il giusto potere che non gli darà rivali
nella scena politica, prima di tutto rinforza le spalle dello Stato a suon di
cultura e istruzione, dopodiché, una volta constata la loro robustezza, sale
sopra di esse e, per la disgrazia del popolo non sufficientemente pronto,
ordina e dispone il buono e il cattivo tempo a suo volere.
Ma queste
aziende governative davvero non hanno (e non sanno) niente del genere. Puntano
alle redini del potere senza neanche passare per la porta dell’istruzione. Sono,
questi, i governi dell’ignoranza e quindi della vergogna. Sono i governi che
deturpano il volto dell’Italia artista e filosofa. Sono burocrati che mirano a
smantellare (se non l’hanno già fatto) l’arte del pensiero, l’unica risorsa
illimitata che l’Italia possiede (e, in generale, la più forte risorsa della
civiltà).
Avesse
imparato Berlusconi, invece di fare il buffone con la scopa in mano per le
strade di Napoli, dalla storia greca, avrebbe scoperto che una legge degli
inizi del V sec. a. C. già sentenziava che "ὄς ἄν βἀλληι τἀ ἑκαθάρματα ἄνοθεν τἦς ὁδὸ μίαν καί πεντήκοντα δραχμἀς ὡφελέτο τόι θέλοντι πρἦχσαι" (“chi getti rifiuti al di sopra della
strada, sia debitore di 51 dramme a colui che vorrà esigerle”) e magari, a suon
di multe (e quindi introiti nelle casse delle Stato) oggi la capitale
partenopea non sarebbe questa città quotidianamente in bilico verso una nuova
crisi dei rifiuti e che, per adesso, riesce a salvarsi in calcio d’angolo ogni
giorno intorno alle 23:00 quando gli addetti svuotano cassonetti stracolmi di
spazzatura perfettamente non differenziata e per la quale lo Stato paga fior di
quattrini a nazioni che la smaltiscono per noi. Ma del resto, non si può venire
a parlare di legge a un pagliaccio che per anni la legge l’ha sempre
regolarmente infranta.
Monti invece
sta lì. Si astiene da show circensi del genere, per fortuna. Però tuttavia pare
proprio che la lezione non voglia impararla e dunque, ancora una volta,
prepariamoci all’ennesimo piccolo passo indietro della cultura italiana grazie
all’ennesimo piccolo fiscalista il cui unico interesse è far quadrare il
bilancio giornaliero della compagnia come fosse un sudoku a furia di tagli, cambiamenti, cancellature e aggiustatine.
Mi viene in
mente, a questo proposito, di quando anni fa gli intellettuali italiani (a
torto o a ragione) indicavano lo Stato quale mandante delle stragi che hanno
colpito le arterie dell’Italia durante gli anni di piombo (ecco come la Storia si
spalma continuamente sulla crosta dell’attualità). Solo che qui non ci sono
banche nazionali dell’agricoltura, né stazioni. Non ci sono nemmeno i boati
delle esplosioni, perché lo Stato ha provveduto a mettere il silenziatore.
Stanno lentamente assassinando l’Italia colpendola nel suo cuore più vivo e più
rosso, la cultura. Coscienti o meno di ciò che fanno, ci stanno svuotando di
tutto quello che ci rende vivi e forti, per poi un domani avere una presa più
salda delle nostre redini.
E cavolo, se
ci stanno riuscendo.