Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

sabato 25 luglio 2015

Recensione del film "Pixels" (nei cinema italiani dal 29 luglio)



Buone notizie per i nostalgici degli anni ’80 (dove nella fattispecie gli anni ’80 sono caratterizzati dai videogiochi): Chris Columbus, il regista simbolo di quella generazione (che è la mia, tra l’altro), che ha firmato la regia di film cult quali “The Goonies” e “Young Sherlock Holmes” (“Piramide di paura”) nonché la sceneggiatura dei “Gremlins”, dirige un film sui suddetti videogiochi, grandi classici che in quanto tali trovano sempre un angolo in cui sopravvivere – fosse anche solo nell’immaginario di un’epoca – senza mai tramontare.
Il film è “Pixels”, una commedia action dai toni leggeri ma non stupidi (né demenziali, pecca di tante altre pellicole simili) con un bravo Adam Sandler nel ruolo del protagonista e coadiuvato da un cast che funziona bene (che pare in parte trapiantato direttamente da “Game of thrones”, in quanto conta la presenza di Sean Bean e Peter Dinklage, che gli spettatori del serial conoscono rispettivamente come Eddard Stark e Tyrion Lannister), con un cameo d’eccezione di Dan Aykroyd, altro attore-feticcio di quegli anni.
La trama è semplice ma efficace: forze aliene attaccano la Terra sotto forma di arcade classici (come “Pac-man”, “Donkey Kong” e “Centipede”) e di fronte alla sprovvedutezza dell’esercito che non sa come combatterli “entrerà in gioco” chi da ragazzo dominava le sale giochi (ve le ricordate?), reclamando così una “rivincita dei nerds” (tanto per restare in tema anni ’80), ma senza opinare uno scontro generazionale, piuttosto creandone un punto d’incontro.
Senza troppe pretese e per questo sarà una sorpresa e un bella visione, il film ha un solo grosso difetto: è l’esatta copia – assolutamente identica in tutto e per tutto – di una puntata del cartone “Futurama” (per la precisione il secondo mini episodio della n. 18 della terza stagione, intitolata “Anthology of Interest 2”), e non dico altro per non rovinare troppe sorprese. Ma a parte questo dettaglio (che comunque non è da poco), la pellicola conserva un suo fascino e la cosa più bella del film è quell’intima sensazione che solo chi ha giocato a quei giochi in una sala e consumando miriadi di monetine da duecento lire può provare. Certo, i ragazzi di oggi li potranno anche conoscere e averci giocato, ma il piacere di tanto tempo (e soldi) speso letteralmente gomito a gomito con qualcuno (che poteva essere un amico o uno sconosciuto), sognando interi mondi immaginari avendo a disposizione pochi colori e solo due dimensioni (il concetto dei famosi “8 bit”) non si può emulare, né ricreare in nessun modo. Io l’ho provata, e se anche voi siete della mia generazione la sentirete anche voi, e alla fine del film penserete: viva i giochi che avevano un’anima, perché gliela dovevi dare tu.

ISTANTANEE - momenti del Giffoni Film Festival in un battito di ciglia - DARREN CRISS



“Ciao a tutti!”, in un italiano ovviamente influenzato dalla pronuncia inglese (americana). Darren Criss per sei mesi ha vissuto ad Arezzo e mastica sufficientemente la lingua, dettaglio che lo avvicina molto sia ai numerosi fan che lo aspettano impazienti sia a noi giornalisti.
Se non avete visto “Glee” – il serial musicale che ha sbancato in America e oltreoceano nel quale recitava – è difficile che lo conosciate, perché è solo recentemente che anche qui in Italia stiano arrivando i film e i corti nei quali ha recitato. Il Festival ha sempre riservato uno spazio alla serie (tanto da essere stato ribattezzato “Gleeffoni”), non a caso nelle precedenti due edizioni ci sono state altre due star prese dallo show, quali Naya Rivera nel 2013 (clicca qui per vedere le foto) e Lea Michele l’anno scorso.
Criss contemporaneamente a quella di attore manda avanti una carriera di musicista e cantante, per cui si è dedicato molto al teatro e ai musical teatrali, che difficilmente vedremo qui da noi. Tuttavia ora sta girando un film ambientato in Trentino (“è una fortuna poter girare in Italia, perché si tratta di un film romantico e l’Italia è il posto adatto. Se non posso garantire sia buono, sicuramente posso dire che sarà bello!”) e questo lo avvicinerà ancora di più al pubblico del nostro Paese. Darren Criss appartiene a una nuova tipologia di attori, che oggi è più corretto definire performer perché mescolano recitazione e talento musicale, seguendo i dettami del nuovo modo di fare spettacolo anche se questo non significa forzare le cose, del resto lui stesso ci dice: “musica e recitazione hanno all’incirca le stesse meccaniche, entrambi usano il timbro vocale ma anche gli arti e il corpo”. E a proposito della lingua italiana dimostra sincero apprezzamento, considerandola molto musicale (quattrocento anni di opera lirica lo confermano, a quanto pare) e sognando addirittura un ruolo da Arlecchino, affascinato anche da quanto visto in un musical americano che ha come soggetto la Commedia dell’Arte (mi chiedo quanti in Italia sappiano cosa sia quest’ultima).
Lui è uno di quegli attori il cui nome sarà inevitabilmente legato al personaggio che gli ha consegnato il successo, ovvero Blaine Anderson, e a chi gli chiede se la cosa gli pesi risponde “sono stato fortunato a interpretare Blaine, ma credo che la chiave della mia carriera sia la versatilità, quindi ho fiducia nel fatto che riuscirò a non avvertire il peso di un solo personaggio nella mia carriera attorica. Devo tutto a Blaine e sono felice di averlo interpretato, non mi spaventa essere legato a lui, quello che mi spaventerebbe è constatare che è l’unica cosa che riesco a fare”. Risposta intelligente per il tipo di performer che è: reduce da un grande successo ma pronto a evolversi e conscio di avere ancora tutta una carriera da costruirsi avanti.

venerdì 24 luglio 2015

ISTANTANEE - momenti del Giffoni Film Festival in un battito di ciglia - FORTUNATO CERLINO



Attore di grande professionalità, consumato e uso al mestiere, alla sua tecnica; “la battuta è l’ultima cosa”, dice, “il lavoro dell’attore viene prima del testo”. Fortunato Cerlino – che il grande pubblico ha conosciuto come Pietro Savastano della serie “Gomorra” – rivela in una frase il suo passato nonché la sua personale visione dell’attore. Una visione che si rifà molto alla scuola russa di Grotowski e Stanislavskij, nomi massimi del teatro e che lui sembra conoscere bene, non a caso ha avuto l’opportunità di lavorare sotto uno dei maestri di quest’arte, Luca Ronconi, che assieme a Strehler e Bene compone la punta di tridente della scena storica italiana (e Bene mi perdonerà se in questo frangente ho accostato il suo nome a quello di Strehler).  
In conferenza stampa gli si chiede di Savastano e di “Gomorra”. “Savastano è un personaggio che porta in sé la morte, non solamente intesa come “uccidere”. La morte intesa come contrapposizione alla Bellezza, forza speculare e generatrice di vita. Savastano e i suoi soci non conoscono la Bellezza, ma solo la morte”. Echi lontani de “I cento passi” (“… invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutare a riconoscerla, a difenderla”) ma soprattutto di Dovstoevskij e del suo “Idiota” (“La bellezza salverà il mondo”) in questa risposta. E a proposito delle polemiche che hanno accompagnato l’uscita (e il grande successo) della serie, conferma la sua soddisfazione di poter partecipare a un progetto del genere “così come sarò felice, in futuro, di raccontare un’altra Napoli, non solamente quella della camorra, ma anche il suo lato bello”. Che esiste, perché da sempre Napoli è una realtà bivalente, la cui parte buona affonda le radici nella Bellezza di cui sopra, non a caso “noi napoletani bolliamo letteralmente di arte”, dice a buon diritto l’attore. Cosa ne pensa di questo festival è un’altra delle domande chiave: “la società in Italia non è né a misura di donna né di bambino, vale a dire non pensa al futuro. Per questo sono felice di essere qui e che esista questo festival”. Ancora, interrogato sui suoi modelli e interessi nel cinema apre un ventaglio di generi: “Mi diverto tanto con la fantascienza e il fantasy, genere per il quale mi piacerebbe prima o poi avere un ruolo, ma adoro anche i film di Tarkovskij (cita, sfuggendogli però il titolo «Ivanovo detstvo» – «L’infanzia di Ivan») e ho imparato molto da «Totò, Peppino e la malafemmina»”. Per Cerlino la poliedricità (in maniera intelligente) sembra essere d’obbligo e non si può dargli torto. A chi gli chiede anticipazioni sulla sua carriera oltreoceano (perché lui recita anche in un serial americano di prim’ordine quale “Hannibal”, tratto dai lavori di Robert Harris e il suo dr. Hannibal Lecter de “Il silenzio degli innocenti”) senza sbilanciarsi troppo annuncia “che si stanno muovendo delle cose” (lui tra l’altro sarà presente anche in un breve ruolo di “Inferno” – prossimo capitolo della saga di Robert Langdon del “Codice Da Vinci” – ma fortemente voluto da Ron Howard stesso).
Gli chiedo infine come interpreta il “lavoro dell’attore su se stesso” (citando il testo-guida di Stanislavskij) e un ricordo di Ronconi, che ci ha lasciato a febbraio di quest’anno, e lui – anche intuendo le eventuali polemiche che potrebbe suscitare la risposta – mi dice che oggi come oggi trova fondamentale imparare il mestiere di attore con una professionalità e preparazione tanto accademica quanto provata (a lungo) sulle scene stesse, guardando con diffidenza a tanti attori di oggi che emergono troppo facilmente dal nulla (come non essere d’accordo?). Del regista teatrale traccia invece un ritratto molto umano, sereno: del lavoro che ha fatto con lui (“Fahreneit 451”, tratto dal romanzo di Bradbury) ricorda di quando il maestro si è limitato a spiegargli le emozioni che cercava dal suo ruolo senza imporgli la strada per arrivare a tali emozioni, lasciandogli piena libertà. “Luca Ronconi è un artista vero”, dice, e a me piace tanto quel “è” al posto di “era” quasi a sottolineare l’appartenenza ormai al mondo dei classici, un mondo eterno dove passato e futuro si condensano in una attualissima realtà.