Guardatelo, in copertina, questo
anziano nonno di 2500 anni circa. Più di una volta l’Occidente, spesso
commosso, ha accettato di farsi rappresentare da lui. Guardate questo guardiano
che per secoli ci veglia dalla zona più alta della città in cui vive, Atene.
Osservate questo reduce di guerra colpito, sfregiato dal tempo e dall’uomo,
ferito ma mai a morte. Poggiato sulla nuda terra come un gigante stanco, ma mai
sconfitto. Immerso nel sole che nutre gli olivi ritorti che stanno ai suoi
piedi. Coperto solo dall’ombra del monte che fa da casa agli dei.
Questo antico titano è il
Partenone, il tempio innalzato in onore della dea Atena Parthénos (che in greco
significa “vergine”, perché la dea greca della saggezza era appunto una vergine
guerriera) e quando fu costruito nel 480 a. C. era il tempio più grande e più
ricco mai visto nella storia della Grecia. I migliori artisti ci lavorarono,
primo tra i quali Fidia, che fu anche creatore della statua della dea,
realizzata in oro e avorio e alta 12 metri, capolavoro all’interno di un
capolavoro.
Ed eccolo lì oggi,
inevitabilmente deturpato dai secoli ma non per questo meno bello. Sta sempre
assiso sulla sua collina (l’Acropoli, ovvero la parte alta della città), e ci
resterà per tanto altro tempo ancora.
Spesso penso al fatto che un giorno io morirò, e anche i
miei figli. E i figli dei miei figli. Ma lui resterà ancora lì e vedrà ancora
tanta altra umanità scorrergli tra le gambe come formiche. E questo pensiero mi
rende felice.
E adesso allargate lo sguardo.
Spostatelo lungo i lati di questo punto focale e cercatene i contorni fino a
trovare i confini della nazione in cui si trova, la Grecia.
Grecia, dov’è che l’avete sentita
questa parola? Qualcuno ricorderà di quando ha fatto la sua conoscenza nei
banchi di scuola, ma quasi tutti la assocerete ai tg nazionali, all’euro, alla
bancarotta, alla crisi. Si, avete indovinato, è proprio la stessa nazione di
cui stiamo parlando. Una nazione che negli ultimi tempi viene indicata come il
fondo del barile, il gorgo entro il quale chi non rispetta gli standard
economici dettati dall’Europa viene inevitabilmente ingoiato, così come Scilla
e Cariddi ingoiano i marinai testimoniatici da Omero, dato che “mai nocchieri
oltrepassaro illesi: poiché, quante apre disoneste bocche, tanti dal cavo legno
uomini invola” (Odissea, XII, 129 e sgg.).
La foto che vedete in copertina
risale al 2013, cioè ad appena un anno fa, quando l’onda lunga della crisi
greca ancora riverberava la sua eco, spaventando e ammonendo gli eurocittadini
locali delle varie nazioni come il lupo delle fiabe fa con i bambini.
Guardandola, c’è solo una domanda che dovete porvi: perché un Paese straziato
dalla crisi, dalla svalutazione monetaria, dalla disoccupazione, dalle rivolte
sociali e dai feriti in piazza per le proteste dovrebbe, in pieno disordine,
curare e restaurare edifici di centinaia di anni fa e che non verranno usati
per ospitare persone?
La risposta ce la dà la Grecia
stessa, o meglio, la sua lingua. Cos’è la “crisi”? In greco antico, la “crisi”
è la “scelta”, la “decisione”. E’ un momento risolutivo, il culmine di un
processo negativo che si prepara a essere il precursore di una decisione
radicale. Quello che dalle nostre parti sarebbe il “tagliare la testa al toro”.
La crisi è fondamentalmente una risposta, per quanto amara, alle estreme
difficoltà.
La Grecia – o più precisamente
una parte di essa – un anno fa ha deciso che per poter guardare all’estero
aveva bisogno di guardare se stessa. La parte più intima e preziosa di se
stessa. E ha scelto come tale parte più preziosa la sua storia, il suo passato,
il suo retaggio culturale. Ecco perché in copertina campeggia la foto di questa
Grecia che per curare il proprio futuro cura il suo passato. Ed ecco anche
perché oggi il Museo Archeologico Nazionale di Atene è una meraviglia che farà
invidia alle più moderne e dotate strutture museali del mondo. E non parliamo
delle opere esposte, capolavori il cui valore è letteralmente impossibile
stimare, ma proprio della struttura architettonica e soprattutto dell’efficienza
del personale (il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, esempio a noi
vicinissimo, avrebbe già tanto da imparare). Vedere per credere, non troverete
al mondo una sistemazione museale e un dialogo così caldo e vivo tra contenuto
e contenitore come il miracolo che avviene in quell’immenso edificio posto
sotto lo sguardo del Partenone.
Ora, cari amici abitanti
dell’Europa monetaria, conviene porsi una domanda: se la Grecia è – a quanto
pare – una nazione allo sbando, cosa siamo noi che abbiamo ancora tanto da
imparare dalla Grecia?