"Arriverà, senza alcuna ombra di dubbio".
La risposta che diedi all'esame di storia del teatro, in merito
all'arrivo o meno di Godot. E' assolutamente sicuro. Solo, precisai,
arriverà domani. E il domani teatrale, ogni qual volta viene detta la
battuta, si sposta di un giorno. Ed ecco il punto. Capire buona parte
del dipanarsi di questa pseudo-vicenda scenica, sta nell'inserirsi nel
meccanismo del tempo teatrale, che è un tempo del tutto al di fuori del
concetto di linearità reale. E' un tempo relativo a se stesso, ed è il
motivo per cui a teatro, nel vedere persone con abiti cinquecenteschi,
non diamo nessun segno di stupore, perchè abbiamo assorbito (anzi, siamo stati assorbiti)
il ruolo mistificatorio che lo spettacolo ha. Ecco, dunque, che la
sospensione continua delle azioni e delle parole di Vladimiro ed
Estragone appare del tutto sensata e, paradossalmente, niente di quello
che succede in scena accade senza una ragione. Non stanno aspettando
invano, perché Godot arriverà. Perfino l'albero sembra stare lì come
incombente monito di qualcosa. E stiamo lì a sospettare che alla fine
tutto quel vuoto, quella (apparente) insensatezza, non vuole essere
metafora di qualcosa, ma di qualcuno: e quel qualcuno sono gli
spettatori/lettori. Salvo poi capire che magari in verità Godot (o Dio, o
il Bene, la Pace, la Felicità) sia già arrivato, ma non possiamo
rendercene conto perchè a non esserci siamo noi.
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