Se c’è una
cosa che sarebbe potuta essere chiara e pacifica a priori, è che un archeologo non dovrebbe vedere “Pompei”. Dopo la
visione dello stesso, è stato appurato che il divieto va esteso anche a tutti
coloro che frequentano film e telefilm da un po’ di tempo e quindi cercano
sceneggiature con un minimo di storia dentro.
Il plot
narrativo di “Pompei” di Paul Anderson è né più né meno che quello di “Titanic”
di Cameron. C’è lui, bello e giusto ma pezzente e disgraziato, c’è lei,
signorina di nobile famiglia ma con la preferenza di ispide barbe piuttosto che
un mento rasato, c’è il pretendente di lei, ricco e potente ma perfido e
antipatico. E infine c’è esso, vale a dire il disastro che spazza via baracca e
burattini.
Ma il problema
non è questo, perché chiaramente una persona con un po’ di spirito critico non
va a vedere il film per potersi perdere in trame e sottotrame condite da
recitazioni grandiose. Si va semplicemente per godersi l’ennesimo sfoggio di combattimenti,
di gladiatori che zompettano qua e là regalando spettacolari fendenti ed
esigendo doverose ovazioni da parte della folla estasiata. Se poi magari
accanto a tutto ciò ci mettete pure il Vesuvio che spacca mezzo mondo, allora
direi che siamo a posto.
E invece no. Speranze
disattese. I combattimenti non sono così entusiasmanti e seppure qualcosina si
salva, è assolutamente poca roba (soprattutto non si capisce come si possano
fare scontri noiosi dopo “300” o la serie tv “Spartacus”, che sono entrambi il
motivo principale per cui oggi ci sorbiamo questo film). L’eruzione invece è un
pastiche di fenomeni sismici e
pirotecnici che scordatevi pure abbiano a che fare con quello che è effettivamente
successo nel 79 d.C.
Comunque è
tutto il film a essere pastiche. Le
citazioni dal “Gladiatore” (la ricostruzione gladiatoria di una battaglia
romana che però finisce a favore dei “barbari”, il compagno gladiatore di
colore che aspetta di ricongiungersi con la famiglia che Roma gli ha ucciso) ci
sono e si sentono fino in fondo. Le navi
che si inclinano e alle quali i passeggeri tentano di rimanere appesi ci
ricordano il già citato “Titanic” (nonché la Concordia di Schettino). Una
spruzzatina di “2012” qua è là, e infine il protagonista Miro che dimentica in
che film siamo e diventa l’uomo che sussurrava ai cavalli: grazie al suo tocco
gli equini trovano la calma e la pace dei sensi (uno all’inizio del film, in
particolare).
Giudizio in due parole: a me non
piace sconsigliare di vedere un film, ma se ci andate, sappiate che potreste
rimanere molto delusi.
Io però la
strombazzata da archeologo la devo fare, perché in qualche modo devo vendicarmi
di questo film per cui sappiate che:
- - il Vesuvio che vedete nel film non è esatto (prima
dell’eruzione aveva una punta più conica, tant’è che i romani pensavano fosse
un monte, fin quando non si sono trovati ondate piroclastiche in faccia)
- - è difficile che i gladiatori si ammazzassero tra
di loro. Ebbene si, mi spiace rovinarvi l’immaginario virile e cruento, ma un
combattimento gladiatorio era una cosa più simile a un incontro di boxe, il
vincitore si decideva “ai punti” e c’era pure tanto di arbitro che faceva il
suo lavoro. E il pollice in su e in giù è una cosa che non esisteva per nulla,
se l’è inventata Hollywood.
- - gli edifici di Pompei non sono stati distrutti a
colpi di palle di fuoco, ma perché il peso dell’infinita pioggia di lapilli
(durata circa 12 ore e che non si vede per nulla nel film) accumulatosi sui
tetti li ha sfondati.
- - l’anfiteatro di Pompei (questa è la fesseria più
grossa di tutto il film) NON ha una zona sotterranea provvista di celle o vani
per permettere l’elevazione di carrelli come per esempio ha il Colosseo.
Detto questo, mi
viene da consigliare al signor Paul Anderson, che vantava ben sei anni di studi
per la preparazione di questo film, di risparmiarsi ulteriori investimenti di
tempo. E che comunque, se proprio vuole, bastano un paio di mesi per preparare
un esame decente al corso di laurea in archeologia classica alla Federico II di
Napoli.
Ma alla fine è
meglio che non lo faccia. Magari poi si imbatte nella storia di Pozzuoli e va a
finire che gira un film con un San Gennaro muscoloso e fighissimo che strozza
un leone nell’anfiteatro maggiore mentre la città inizia ad affondare.