chiude Santa Maria della Scala
Ringrazio la politica italiana per aver fornito ulteriori - anche se non richieste - conferme a quanto sostenuto nel precedente post (e in quello titolato "la strage è di Stato").
Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER
domenica 26 agosto 2012
venerdì 24 agosto 2012
Il segno dei Quattro
I fatti sono
semplici. Non ci sono i soldi per pagare l’affitto. Solo che l’affitto in
questione è quello di una biblioteca contenente circa trecentomila libri la cui
stragrande maggioranza sono testi storici come ad esempio quelli di Benedetto
Croce, Giordano Bruno e la prima versione italiana dell’Encyclopedie di Diderot
e D’Alembert. Per mancanza di fondi, dunque, la biblioteca chiude e da Napoli
si trasferisce a Casoria. Abbastanza senza speranza gli impegni presi da De
Magistris ma soprattutto senza risposta gli appelli a Monti (probabilmente sarà
stato impegnato, immerso in algoritmi, seni e coseni, a tentare la mistica quadratura del cerchio). La cosa interessante è
che l’avvocato Marotta, proprietario della biblioteca, aveva proposto di
trasferire i tomi nel Real Albergo dei poveri (ve lo ricordate? Ne ho parlato
in un precedente articolo titolato “la mostra Body Worlds a Napoli” che potete
consultare all’inizio di questo blog), la qual cosa sarebbe stata auspicabile
non solo per la ricollocazione dei libri ma anche per la connessa rivalutazione
del luogo. Ovviamente, nulla di fatto.
Quindi,
che dire? Evidentemente ancora una volta un episodio dal genere solleverà
qualche polemica, ma per nostra fortuna le voci che si alzeranno sono quelle di
quei quattro intellettualini che stanno lì con un occhio sui libri e l’altro
puntato sui giornali, in attesa che spunti fuori la notiziola-vergogna che tira
le orecchie al governo. Si, l’abbiamo capito. In Italia c’è una forte carenza
di interesse nei confronti del patrimonio culturale. Si, è vero. Per una mostra
che si inaugura, due ne vengono chiuse. O peggio, per un muro che crolla, tre
musei vengono chiusi. E poi ancora, le scuole cadono a pezzi. La ricerca non ha
fondi. I luoghi turistici non sono adeguatamente valorizzati. E bla, bla, bla.
E
in tutto ciò i quattro intellettualini stanno sempre lì, con penna e carta in
tasca, le orecchie tese pronte ad auscultare anche il minimo scricchiolio di
edifici, tavole e sedie per poi subito versare fiumi di inchiostro nei quali
sciorinare citazionismo e sventagliare un po’ di fresco passato in faccia ai
volti stantii della modernità. Marciano compatti, i nostri quattro. Fanno su e
giù per l’Italia, commentando amaramente il turismo assassinato dai lidi
abusivi e si siedono affranti sui calcinacci dell’Abruzzo e dell’Emilia. E
dovunque vadano, lasciano il loro marchio fatto di inchiostro indelebile. Nero,
ad imperitura memoria.
Ma
quanto sono attivi, questi quattro intellettualini, quanto si prodigano. Per
loro dietro ogni paesaggio c’è un quadro settecentesco, dietro ogni cupola un
architetto, dentro ogni libro un cuore che pensa. La fanno facile loro. Basta
leggere. Basta sapere. Basta conoscere. Stanno sempre lì a ciarlare di
biblioteche e tomi antichi. Di affreschi, statue e tele. Convinti che questa
roba possa davvero risollevare la dignità italiana, sempre più ricacciata nel
fondo del fondo. Non hanno capito, questi quattro, che abbiamo a che fare con
cose serie. C’è da combattere lo spread, far quadrare i conti. Bisogna puntare
allo stretto indispensabile. E gli intellettualini, intanto, si meravigliano di
come sia possibile che una persona laureata in economia non sia capace di
capire il potenziale finanziario di un adeguato sfruttamento del patrimonio
turistico e culturale italiano. Certo che davvero hanno poco da fare, questi
quattro.
E
certo che non hanno niente da fare, visto che stanno tutto il tempo a scrivere.
Stanno lì, in cerca di notizie del genere. Per poi commuoversi o arrabbiarsi, a
seconda dei casi e dei caratteri.
Ma chi glielo
fa fare?
E’ proprio
questo il punto: perché lo fanno?
Perché
sprecare tanta energia, tanto impegno?
Boh, chi lo
sa. Tuttavia, bisogna diffidare dalle persone che fanno una cosa di propria
spontanea volontà. C’è il rischio che la facciano perché ci credono davvero.
Chissà poi cosa sperano di fare.
Ah, per la
cronaca io sono uno dei quattro. Orgogliosamente, uno dei quattro.
giovedì 9 agosto 2012
Alice nel Paese della Storia
Ho sempre
pensato che il senso di essere uno studioso del passato - sia esso archeologo,
storiografo o finanche storico dell’arte e della letteratura -, si basi
essenzialmente su un solo principio: quello del sentire vivo ed attuale il tempo
che fu. E, preciso, ho volutamente usato “sentire” piuttosto che un verbo più
anonimo quale “considerare” proprio perché la natura recondita delle cose, in
particolare quelle riguardanti l’antico, cresce e si moltiplica solo nel
fertile campo dell’emotività. Bisogna avere passione e sentimento anche quando
si studiano i mattoni cerebrali degli esistenzialisti francesi, e bisogna riuscire
a commuoversi leggendo la dedica d’amore che un signore senza volto (e senza
tempo, a questo punto) ha scritto nel I sec. d.C. su una statua a Tebe, in
Egitto (un giorno, se i miei venticinque lettori avranno piacere, ne parlerò e
sfido chiunque a non intenerirsi su questa storia).
Personalmente,
il mio transfert del passato che
diventa presenta lo vivo con un’allegria un po’ pazza, mezza bambina e mezza
filosofa, come quella che Pietro Citati racconta nel piccolo ma stupendo
articolo (poi omonimo libro) “Il tè del Cappellaio Matto”. In buona sostanza,
Citati ci spiega di come la vita sia effettivamente una grande tavolata pronta
ad accogliere innumerevoli invitati. Ma niente abbuffate, per carità:
l’esistenza è molto più simile ad un inglesissimo tè delle cinque, con tanto di
tartine. Poi il genio inquieto di quel Lewis Carroll che scrisse Alice in wonderland realizzò il colpo di
classe precisando che quelle cinque sono cinque in eterno (per ordine della
Regina di Cuori, tra l’altro), per cui a questa tavola verranno sempre nuovi
commensali, ma il burro che si stenderà sul pane sarà sempre lo stesso, fresco
e invitante, e si assaggerà sempre la stessa marmellata, risultando buona e
saporita come al primo assaggio (perché, appunto, sarà sempre un primo assaggio).
Ecco, la vita
è suppergiù così. Tutti noi stiamo intorno ad un lungo tavolo: ci sediamo,
assaggiamo qualche biscotto, sorseggiamo un po’ di tè e poi, chi prima chi
dopo, ci alziamo e ce ne andiamo. Ma non c’è monotonia in questo, perché ogni
volta la tavola si apparecchia per un gruppo differente di persone e il modo in
cui essi consumano lo spuntino non sarà mai lo stesso di chi lo ha consumato
prima o di chi lo consumerà dopo, nonostante le pietanze siano sempre le
stesse. Che ci crediate o no, vi assicuro che è questo che facciamo da circa
100.000 anni a questa parte.
Non a caso
qualcuno infinitamente migliore di me già soleva ripetere eadem semper sunt omnia, vale a dire “tutte le cose sono sempre le
stesse”, per cui, oggi come oggi, se mi capita di vedere persone che si
prodigano per la città ma che sotto sotto ambiscono al potere (preferibilmente
quanto più monocratico possibile) sorrido e penso a Pericle – o, con le dovute
immani ed enormi differenze, a Napoleone o Mussolini, fate voi – così come ho
negli orecchi l’eco di Galilei e negli occhi la porpora cardinalizia quando
leggo di nuove scoperte genetiche. Con la guerra, generalmente, il discorso si
fa molto più semplice dato che non ho bisogno di scomodare nessuna battaglia
gloriosa: mi basta tenere in mente la scena, immaginata ma sicuramente vera,
della scimmia antropomorfa armata di osso che sopraffà un’altra che ne è priva
in “2001: Odissea nello spazio”. Che cos’è, del resto, il revisionismo storico
se non spalmare la marmellata al posto del burro sulla stessa tartina di
sempre?
E’ inoltre con
lo stesso sapore di stantio in bocca che ho appreso la notizia dei tagli alla
cultura di Monti, mascherati per lo più da aumento delle rette universitarie,
ma anche dalla completa soppressione di istituti scientifici e culturali
considerati “minori”. A Napoli, ad esempio, il dito è stato puntato contro la
Stazione Geologica Antonio Dohrn (gli interessati possono eventualmente firmare
una petizione su www.buonacausa.org). Ho letto tutto ciò avendo ancora in mente
il gusto amaro delle mortifere e putrescenti riforme della Gelmini e delle
sforbiciate di Bondi, brandelli di un periodo del quale dovremmo forse provare
più vergogna che per il ventennio fascista. Vedete quindi come i momenti
storici si accostino tra di loro, tendendo ad ammassarsi l’uno sull’altro: il
vero valore dello studiarli sta nella possibilità di riconoscerli e
smascherarli.
Ma come
dicevo, per apprezzare in pieno la fortuna e l’utilità di immergersi nel
passato, è importante farlo con la fantasia libera e folle dei bimbi dove tutto
ha un peso ma allo stesso tempo non ce l’ha. Un mondo dove si desidera alla
follia qualcosa e poi saperlo abbandonare un secondo dopo alla ricerca di
qualcos’altro. E’ il gioco infantile che spezza la rigidità delle ere facendole
collassare e spalmare come formaggio molle su di noi. La segreta arte di
immaginare tanti “quando” e tanti “dove” tutti nello stesso punto è un’abilità
che ha solo Alice (che si trova nel suo
Paese delle Meraviglie) e la possiede proprio in quanto bambina che per
professione ruzzola, capitombola e curiosa in giro fino ad arrivare laddove il
Tempo si perde e non ha senso, dove non a caso anche l’eterno dipendente dalle
lancette, il ritardatario Bianconiglio, va a fermarsi. Riscoprire in se stessi
questo tipo di fantasia ci schiude porte antiche rivelandocene le verità e i
segreti. Ci fa capire che con un tale bagaglio alle spalle, siamo molto di più
del semplice pubblico pagante che da anni chi di dovere sta cercando di farci
credere. Siamo attori e registi. Siamo burattinai e non marionette. Ed è nostro
compito cercare i ruoli che dobbiamo recitare e far recitare leggendo libri e
andando alla ricerca dei nostri antenati per poter ricercare noi stessi.
Studiare la
Storia, conoscere il passato, anche e soprattutto quello più antico, serve a
questo. Chi considera il passato un verbo temporale che ci lasciamo alle spalle
attraverso lo stillicidio dei secondi è una persona superflua al presente e
troppo anonima per poter immaginare un futuro.
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