leggi l'articolo sul "CittadinoNews"
Ora che finalmente un po’ tutti tiriamo un sospiro di
sollievo per la scampata apocalisse maya, possiamo fare qualche conto. Siamo di
fronte a un ciclo che si chiude – questo in realtà è quanto affermato dal
popolo precolombiano – e non a caso di tale “profezia” se ne era già parlato nel
numero 0 del “CittadinoNews”. La rivista che state leggendo, nata maluccio e
barcollante nei primi numeri a causa di una guida poco competente, si ritrova adesso
con un numero di fine anno che mostra con forza le idee chiare, l’impegno e
l’affiatamento dei suoi collaboratori, e si incammina con pazienza e umiltà
verso un continuo miglioramento. Ma il segreto per migliorare è quello di
essere adeguatamente critici: cosa ci rimane, infatti, di questo Natale 2012
battezzato dall’ansia verso un’annunciata fine del mondo?
Oggi come oggi, nel vedere tutto ciò da un punto di vista
editoriale, non posso che constatare il triste ammontare di tanta carta
stampata che ha dissertato sull’argomento e che ha riempito interi scaffali
nelle librerie. No, non è un problema di censura o di libertà di parola. Il
fatto è che guardando questa fitta schiera di libelli più o meno seri non
riesco a fare a meno di pensare che la stampa di questi testi ha
volontariamente e involontariamente tolto spazio ad altri, a tutte quelle opere
che purtroppo in Italia non hanno mercato perché leggere di maledizioni e
predestinazioni ci appare evidentemente più interessante che leggere Calvino,
Queneau o Proust. Questo significa che lo scrittore emergente – il saggista, il
critico, il poeta – che si affaccia al mondo della cultura con un lavoro fresco
e originale verrà sempre posto in secondo piano rispetto a chi sarà in grado di
battere il ferro caldo del momento, cavalcando mode e desideri di mondanità del
pubblico lettore. Sarà più difficile, dunque, vedere un prodotto letterario
pulito e nuovo piuttosto che un qualcosa di blando e stantio. Ma il vero punto
non è neanche condannare la banalità di un argomento, quanto il mercato della
disinformazione che esso alimenta sottraendo spazio a proposte culturali di
maggiore spessore. “2012 – La fine del mondo?”, “Apocalisse 2012” (da non
confondere con “Apocalypse 2012”, “Apocalissi 2012” o con “2012, l’Apocalisse”),
“2012, è in gioco la fine del mondo”: sono solo alcuni dei titoli che hanno
fagocitato parte dell’espressione editoriale italiana e adesso, mentre stiamo
qui a mangiare panettoni all’alba di un post 21 dicembre, dietro di noi restano
queste tristi pile di carta (straccia) che paiono guardarci con il rancore sommesso
e silenzioso di quei frati che il 31 dicembre del 999 d.C. incombevano sul
popolo analfabeta al grido di “Mille e non più Mille”, ripetendo una frase
attribuita, secondo la tradizione, a Gesù.
Sarebbe facile dare la colpa a quest’ultimo quando l’evidenza
dei fatti ha portato gli uomini a vivere un anno Mille seguito dal Mille e uno
(fino a oggi), così come è ugualmente facile prendersela con i Maya che sembrano
aver sbagliato tutto; ma la realtà è che i meritevoli di una pernacchia siamo
tutti noi che ci abbiamo creduto e che con i nostri acquisti editoriali su
presunte apocalissi abbiamo pagato la sussistenza di scribacchini
dell’ultim’ora e contemporaneamente condannato al silenzio un potenziale bravo
autore che ora come ora si starà districando (se è abbastanza fortunato) tra i
severi gironi delle piccole case editrici.
Il punto è che semmai ci dovesse essere una fine del mondo,
inizierà quando non saremo davvero più in grado di distinguere un dato di fatto
dalla diceria e – poveri noi – inizieremo a preferire quest’ultima.