Attore di grande professionalità, consumato e uso al
mestiere, alla sua tecnica; “la battuta è l’ultima cosa”, dice, “il lavoro
dell’attore viene prima del testo”. Fortunato Cerlino – che il grande pubblico
ha conosciuto come Pietro Savastano della serie “Gomorra” – rivela in una frase
il suo passato nonché la sua personale visione dell’attore. Una visione che si
rifà molto alla scuola russa di Grotowski e Stanislavskij, nomi massimi del
teatro e che lui sembra conoscere bene, non a caso ha avuto l’opportunità di
lavorare sotto uno dei maestri di quest’arte, Luca Ronconi, che assieme a Strehler
e Bene compone la punta di tridente della scena storica italiana (e Bene mi
perdonerà se in questo frangente ho accostato il suo nome a quello di
Strehler).
In conferenza stampa gli si chiede di Savastano e di
“Gomorra”. “Savastano è un personaggio che porta in sé la morte, non solamente
intesa come “uccidere”. La morte intesa come contrapposizione alla Bellezza,
forza speculare e generatrice di vita. Savastano e i suoi soci non conoscono la
Bellezza, ma solo la morte”. Echi lontani de “I cento passi” (“… invece della
lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘ste fesserie
bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutare a riconoscerla, a
difenderla”) ma soprattutto di Dovstoevskij e del suo “Idiota” (“La bellezza
salverà il mondo”) in questa risposta. E a proposito delle polemiche che hanno
accompagnato l’uscita (e il grande successo) della serie, conferma la sua
soddisfazione di poter partecipare a un progetto del genere “così come sarò
felice, in futuro, di raccontare un’altra Napoli, non solamente quella della
camorra, ma anche il suo lato bello”. Che esiste, perché da sempre Napoli è una
realtà bivalente, la cui parte buona affonda le radici nella Bellezza di cui
sopra, non a caso “noi napoletani bolliamo letteralmente di arte”, dice a buon
diritto l’attore. Cosa ne pensa di questo festival è un’altra delle domande
chiave: “la società in Italia non è né a misura di donna né di bambino, vale a
dire non pensa al futuro. Per questo sono felice di essere qui e che esista
questo festival”. Ancora, interrogato sui suoi modelli e interessi nel cinema
apre un ventaglio di generi: “Mi diverto tanto con la fantascienza e il
fantasy, genere per il quale mi piacerebbe prima o poi avere un ruolo, ma adoro
anche i film di Tarkovskij (cita, sfuggendogli però il titolo «Ivanovo detstvo»
– «L’infanzia di Ivan») e ho imparato molto da «Totò, Peppino e la
malafemmina»”. Per Cerlino la poliedricità (in maniera intelligente) sembra
essere d’obbligo e non si può dargli torto. A chi gli chiede anticipazioni
sulla sua carriera oltreoceano (perché lui recita anche in un serial americano
di prim’ordine quale “Hannibal”, tratto dai lavori di Robert Harris e il suo
dr. Hannibal Lecter de “Il silenzio degli innocenti”) senza sbilanciarsi troppo
annuncia “che si stanno muovendo delle cose” (lui tra l’altro sarà presente
anche in un breve ruolo di “Inferno” – prossimo capitolo della saga di Robert
Langdon del “Codice Da Vinci” – ma fortemente voluto da Ron Howard stesso).
Gli chiedo infine come interpreta il “lavoro dell’attore su
se stesso” (citando il testo-guida di Stanislavskij) e un ricordo di Ronconi,
che ci ha lasciato a febbraio di quest’anno, e lui – anche intuendo le
eventuali polemiche che potrebbe suscitare la risposta – mi dice che oggi come
oggi trova fondamentale imparare il mestiere di attore con una professionalità
e preparazione tanto accademica quanto provata (a lungo) sulle scene stesse,
guardando con diffidenza a tanti attori di oggi che emergono troppo facilmente
dal nulla (come non essere d’accordo?). Del regista teatrale traccia invece un
ritratto molto umano, sereno: del lavoro che ha fatto con lui (“Fahreneit 451”,
tratto dal romanzo di Bradbury) ricorda di quando il maestro si è limitato a
spiegargli le emozioni che cercava dal suo ruolo senza imporgli la strada per
arrivare a tali emozioni, lasciandogli piena libertà. “Luca Ronconi è un
artista vero”, dice, e a me piace tanto quel “è” al posto di “era” quasi a
sottolineare l’appartenenza ormai al mondo dei classici, un mondo eterno dove
passato e futuro si condensano in una attualissima realtà.
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