Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

martedì 17 luglio 2012

La strage è di Stato




Come mi è capitato di scrivere altrove, mi piace studiare la Storia per poi successivamente vedere quanto bene riesca a ricollocarsi tra le pieghe della nostra quotidiana attualità. Io che mi ritengo amabilmente catastrofista, non ho potuto fare a meno di inorridire (e ridere) quando ho letto, qualche giorno fa, delle “nuove” brillanti trovate della ditta Governo Monti, la quale, giustamente, per far quadrare i conti disastrosi di questo disastrato Paese ha ben pensato di fare ulteriori tagli alle spese e questa volta è stato il turno della cultura. Nello specifico, a dover mettere la testa nella ghigliottina della Monti S.p.A sono state le istituzioni culturali e scientifiche considerate “minori” (come se poi esistesse la cultura “maggiore” o “minore”, ma vabbè, d’altronde questo è quello che ci si deve aspettare quando si affida la conduzione di uno Stato agli avvocaticchi e i tecnocrati finanziari).
A fare (parte) delle spese della crisi italiana (che è stata legittimamente votata per circa 20 anni a questa parte) è dunque ancora una volta, l’unico campo che, per quanto incredibile o favolistico possa sembrare, effettivamente potrebbe dare una spinta propulsiva e benefica al risanamento di uno Stato che si avvia alla deriva, vale a dire la succitata cultura. Doppia stangata, inoltre: assieme alla soluzione finale verso i centri culturali che non fanno più di 100 proseliti, vengono aggredite ulteriormente le università italiane che, essendo già dei modelli esemplari mondiali di eccellenza (sono le stesse che hanno sfornato quella marea di avvocatuncoli che, sostenendo l’esame di abilitazione alla magistratura, ha riportato una discreta serie di errori grammaticali che farebbe invidia a Lucignolo), vantano ora quote di iscrizione ancora più alte per ogni fascia contributiva. Espediente brillante, non c’è che dire, per accorciare le file agli sportelli delle varie segreterie: solo che mentre nei paesi civili le file si restringono per via dei servizi realizzabili grazie ad una rete internet con banda gratuita e libera da 100 mega, qui diminuiscono perché sempre meno saranno i diplomati che considereranno utile investire 5 anni e migliaia di euro per un corso di studio che non da sbocchi lavorativi. Un corso, tra l'altro, ideato dalla Gelmini (ve la ricordate? E’ quella sottospecie di maestrina dalla penna rossa che pensava che tra Ginevra e il Gran Sasso ci fosse un tunnel sotterraneo di 700 km. Un ideale ministro dell’Istruzione durante il governo Berlusconi, insomma).
Ecco, sono proprio le piccole analogie tra il mandato di Berlusconi e il whatever it is di Monti che mi fanno un po’ paura e un po’ riflettere (e anche un po’ sorridere, dato che per mia fortuna sono un cinico). Fondamentalmente, l’incapacità di risolvere i veri problemi dell’Italia affrontandoli di faccia è la stessa. Quello che manca sono le donnine dell’ “Orgettina”. E forse due o trecento leggi ad personam, questo lo ammetto. Ma per il resto, non posso che guardare con relativo sgomento l’abisso della ignoranza nel quale si punzecchia, ferisce e pugnala a morte la cultura, ultima ruota del carretto Italia. Così era sotto Berlusconi, Bondi e Gelmini e così rimane sotto Monti, Ornaghi e Profumo. Alzo le mani, sia ben chiaro. Non sono ancora giunto al “si stava meglio quando si stava peggio” e peggio del governo precedente credo che solo un nuovo governo degli stessi di cui sopra potrà fare. Però quella sensazione di pressapochismo culturale, quell’immagine di mensa pauperorum nella quale alla cultura viene chiesto di mettersi in ultimo perché i bocconi migliori spettano ad altre braccia, ce l’ho ben in mente. E non fosse per altro, non solo per averla avvertita di recente, ma anche per averla intravista nei libri di Storia sebbene in parti inverse. Ricordo infatti un Mussolini con la riforma Gentile del 1923 che innalzava l’obbligo scolastico, un Napoleone che invece la scuola – quella pubblica – la istituiva per la prima volta e nelle sue campagne militari portava con sé un manipolo di studiosi, letterati, archeologi e scienziati, e un glorioso Alessandro Magno che, tra i vinti, risparmiava chiunque conoscesse a memoria i versi de “la Pace” di Aristofane.
E non è un caso se ho volutamente menzionato tre personaggi che hanno finito per indossare i panni del monarca. Gli esempi ci devono far capire che anche la persona con i più biechi intenti, per assicurarsi il giusto potere che non gli darà rivali nella scena politica, prima di tutto rinforza le spalle dello Stato a suon di cultura e istruzione, dopodiché, una volta constata la loro robustezza, sale sopra di esse e, per la disgrazia del popolo non sufficientemente pronto, ordina e dispone il buono e il cattivo tempo a suo volere.
Ma queste aziende governative davvero non hanno (e non sanno) niente del genere. Puntano alle redini del potere senza neanche passare per la porta dell’istruzione. Sono, questi, i governi dell’ignoranza e quindi della vergogna. Sono i governi che deturpano il volto dell’Italia artista e filosofa. Sono burocrati che mirano a smantellare (se non l’hanno già fatto) l’arte del pensiero, l’unica risorsa illimitata che l’Italia possiede (e, in generale, la più forte risorsa della civiltà).
Avesse imparato Berlusconi, invece di fare il buffone con la scopa in mano per le strade di Napoli, dalla storia greca, avrebbe scoperto che una legge degli inizi del V sec. a. C. già sentenziava che "ὄς ἄν βἀλληι τἀ ἑκαθάρματα ἄνοθεν τἦς ὁδὸ μίαν καί πεντήκοντα δραχμἀς ὡφελέτο τόι θέλοντι πρἦχσαι" (“chi getti rifiuti al di sopra della strada, sia debitore di 51 dramme a colui che vorrà esigerle”) e magari, a suon di multe (e quindi introiti nelle casse delle Stato) oggi la capitale partenopea non sarebbe questa città quotidianamente in bilico verso una nuova crisi dei rifiuti e che, per adesso, riesce a salvarsi in calcio d’angolo ogni giorno intorno alle 23:00 quando gli addetti svuotano cassonetti stracolmi di spazzatura perfettamente non differenziata e per la quale lo Stato paga fior di quattrini a nazioni che la smaltiscono per noi. Ma del resto, non si può venire a parlare di legge a un pagliaccio che per anni la legge l’ha sempre regolarmente infranta.
Monti invece sta lì. Si astiene da show circensi del genere, per fortuna. Però tuttavia pare proprio che la lezione non voglia impararla e dunque, ancora una volta, prepariamoci all’ennesimo piccolo passo indietro della cultura italiana grazie all’ennesimo piccolo fiscalista il cui unico interesse è far quadrare il bilancio giornaliero della compagnia come fosse un sudoku a furia di tagli, cambiamenti, cancellature e aggiustatine.
Mi viene in mente, a questo proposito, di quando anni fa gli intellettuali italiani (a torto o a ragione) indicavano lo Stato quale mandante delle stragi che hanno colpito le arterie dell’Italia durante gli anni di piombo (ecco come la Storia si spalma continuamente sulla crosta dell’attualità). Solo che qui non ci sono banche nazionali dell’agricoltura, né stazioni. Non ci sono nemmeno i boati delle esplosioni, perché lo Stato ha provveduto a mettere il silenziatore. Stanno lentamente assassinando l’Italia colpendola nel suo cuore più vivo e più rosso, la cultura. Coscienti o meno di ciò che fanno, ci stanno svuotando di tutto quello che ci rende vivi e forti, per poi un domani avere una presa più salda delle nostre redini.
E cavolo, se ci stanno riuscendo.

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