Mercoledì 8 agosto e giovedì 9 la
frazione San Martino di Montecorvino Rovella ha ospitato l’evento “Borgo
antico” al suo debutto di quest’anno.
Il progetto è nato per ridare
valore e visibilità alla zona più antica della frazione, un lungo percorso
rettilineo parallelo alla statale che presenta scorci suggestivi e architetture
storiche, nascoste in maniera quasi pudica dal normale viavai di macchine che attraversano
la zona. Ciò che si era proposto di fare con questa manifestazione è stato
principalmente rivalutare la zona ma soprattutto creare un piccolo museo
domestico a cielo aperto. E dunque sono stati aperti i portoni dei palazzi ed
in ognuno di essi hanno trovato posto i più svariati tipi di collezioni e
memorabilia del nostro recente passato, come ad esempio la sartoria,
l’uncinetto, la creazione di oggetti in vimini, la realizzazione di seggiole.
Accanto a queste esposizioni, l’organizzazione ha accostato eventi e
intrattenimenti dislocati in diverse zone del percorso, talvolta in
contemporanea, talvolta ad orari differenti. Tra i vari, esibizioni di danza,
gruppi musicali, la recita di una commedia e perfino una sfilata, alla quale
hanno preso parte modelle e modelli di San Martino, che in un’interpretazione
più leggera della cosa sta quasi a ricordarci che a volte la bellezza (sia essa
estetica quanto etica) non serve cercarla altrove, ma spesso si trova nel
nostro stesso paese. Menzione d’onore, personale ma suppongo collettiva, la
presenza di un telescopio proveniente dall’osservatorio astronomico che,
complice la buona posizione del posto e la chiarezza del cielo, ha permesso a
più di una persona – tra adulti e bambini – di osservare e perdersi
nell’esplorazione delle stelle, sotto la guida illuminante di un esperto che
spiegava e rispondeva piacevolmente alle curiosità di grandi e piccoli. Così
come non posso evitare di riportare la mia sorpresa (personalmente del tutto
positiva) nonché quella di molti, suppongo, nel vedere sfilare un ragazzo in
abito da sposa e ricevendo per questo l’applauso sentito e particolare del
pubblico, quasi a dimostrazione del fatto che un borgo può essere antico ma non
per questo vetusto e chiuso mentalmente (per ulteriori approfondimenti
sull’argomento, si leggano gli interessanti articoli alle pagg. 9 e 16).
Da non sottovalutare inoltre
l’importanza e l’utilità della vetrina espositiva che l’evento in sé ha
rappresentato, dato che ha felicemente ospitato associazioni e realtà locali come
il Laboratorio Creattivo, il gruppo Found 404 e Sniffroom, il nascente social
network “emotivo” presentato nel corso del Giffoni film festival. E accanto a
loro, non sono mancati gli stand di prodotti gastronomici locali, così come non
è mancata la promozione culturale dell’arte e artigianato. Disdicevole, invece,
la mancanza (soprattutto di serietà) da parte di chi avrebbe dovuto tenere uno
spettacolo ma che invece ha disdetto la sua partecipazione poche ore prima
dell’inizio. Può capitare, si sa, ma è pur sempre brutto venire meno ad un
impegno del genere con così poco preavviso.
Ero in questo evento vestendo
anche i panni del giornalista in previsione dell’articolo che sto scrivendo adesso
e andavo su e giù per quel chilometro circa registrando mentalmente cose,
persone e dettagli. Poi, d’un tratto è successo un qualcosa che mi ha colpito
molto. Con i miei amici, passavo davanti ad una tavola rusticamente imbandita,
che non aveva uno scopo preciso: era il desco di una famiglia che abitava in
uno dei palazzi e che si era spontaneamente offerta alle persone. Uno degli
avventori di questa tavola ha detto testuali parole: “ragazzi, volete un po’ di
vino? Non si paga, ve lo offriamo noi”.
Ecco, so che è facile spendere
parole di stima davanti a qualcuno che vi porge del vino (e colgo l’occasione
per ringraziare ancora il gentile gruppetto), ma è pur vero che di per sé ho
apprezzato non solo il gesto, ma lo spirito stesso con cui veniva porto. Perché
questo mi ha illuminato sul vero motivo che ha dato forza a questa
manifestazione: la spontaneità e la partecipazione umana degli abitanti stessi
della zona. In particolare, sottolineo la natura genuina della cosa. Non lo
facevano dietro impegno preso, ma per dare
il loro contributo, per esternare l’aderenza a questo progetto di
rivalutazione culturale e storica. E non a caso ci sovvengano in mente le
parole di De Gregori che canta “… e poi la gente, perché è la gente che fa la
Storia…”. E per “gente” si intenda il popolo, le persone di tutti i giorni, gli
impiegati che timbrano il cartello e il contadino che si alza presto la
mattina. E soprattutto, la voce alle spalle che ti offre il bicchiere di vino.
Ancora una volta, dunque, la vera
storia di cosa siano state queste due giornate l’ha fatta la gente, con la loro
cordialità, con l’ospitalità, con quella sana gentilezza delle persone attive e
di buon cuore. Bastava chiedere, e loro parlavano, spiegavano, indicavano,
sorridevano.
E’ mia opinione, ricavata
soprattutto dai molti discorsi che ho fatto con gli abitanti della zona, che
San Martino sia senza ombra dubbio un luogo da rivalutare e chiedo a chi di
dovere di farlo soprattutto in virtù della necessaria conservazione e
promozione del patrimonio culturale giuridicamente sancita, perché questa
frazione si è rivelata davvero affascinante e interessante (e qui a parlare non
è più il me giornalista, ma il me dottore in beni culturali). A maggior
ragione, San Martino va recuperata e promossa in quanto si avverte che le
persone stesse che la vivono sono desiderose di farlo. E dunque va sfruttato il
loro entusiasmo (soprattutto quello giovanile) perché è genuino e benefico.
Tuttavia è pur vero che fin quando verranno a mancare eventi del genere, anche
per mancanza di un adeguato sostegno politico ed economico, non sarà possibile
auspicarne il recupero perché laddove c’è voglia di fare è ugualmente facile
trovare mancanza di iniziativa, spesso dovuta al continuo abbandono a se
stessi.
Io credo che questi due giorni
abbiano dimostrato molti teoremi, sia positivi che negativi. I primi hanno
avuto riscontro nella partecipazione del pubblico e delle varie associazioni di
Montecorvino che si sono confrontate innanzitutto con le persone e poi anche
tra di loro. I secondi invece, erano costituti da chi non credeva utile – né
possibile – che potesse avvenire tale confronto.
Ma ripensandoci, è bello che ci
sia stata la possibilità di contraddire questi ultimi, dimostrando che la
collaborazione e comunicazione tra le varie forze culturali presenti nel paese non
solo è fattibile, ma addirittura desiderabile. Si ringrazia dunque chi non ha
creduto nel progetto perché ha offerto – e offrirà – la forza di migliorarlo,
dato che non c’è niente di “utopico” nel dialogo tra piccole ma importanti
realtà locali.
Un ultimo ringraziamento, che qui
pongo in una maniera strettamente personale, vada a quel Napoleone alto 1,85 (a
differenza dell’originale) del cui amore e impegno per questo evento sono
testimone, così come ho potuto constatare i suoi continui giri avanti e
indietro per il borgo proprio come un generale che controlla le sue truppe,
ascoltando ed elargendo consigli, registrando le pecche e apprezzando fino in
fondo gli sforzi degli altri. Un Napoleone il cui spirito e forza d’animo gli
impediranno – credo e spero – di conoscere una Waterloo.
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