Il grande
viaggio della letteratura occidentale nacque quasi 3000 anni fa quando fu
narrata la prima avventura sul mare che la storia abbia mai conosciuto, quella
di Odisseo che dopo la guerra di Troia tentava di ritornare alla sua casa in
Itaca, e prima di riuscire a dormire nel proprio letto dovette affrontare
uomini, donne, mostri e dei.
E’ emblematico
notare come la letteratura del nostro emisfero sin da subito sappia di acqua
salata, di nobile legno ben lavorato che solca creste d’onde di un mare che a
volte è amico fraterno, simbolo di nuovi orizzonti da scoprire, a volte è un avversario
torbido, severo come un possente dio antico e barbuto. Non è un caso che i Greci avevano un nome per identificare il
primo (“okèanos”, il mare da attraversare ) e un altro per indicare il secondo
(“pòntos”, il mare oscuro e ricco di pericoli).
Dal momento
della sua nascita in poi, l’arte di raccontare non ha fatto che trasmigrare da
una sponda all’altra di quel grande specchio d’acqua che è il mare Mediterraneo
e così dalla Grecia il testimone letterario fu passato a Roma; e quando infine
anche l’impero di quest’ultima si sfaldò, ecco che il bisogno di narrare trovò
ospitalità, un po’ alla volta, nelle varie zone d’Europa.
Il mare dunque
è stato non solo traghettatore di merci e uomini che partivano alla scoperta di
nuove terre, ma anche di idee, di pensieri, di arte; tante pagine di
letteratura non sono solo bagnate di inchiostro ma anche intrise di salsedine e
accarezzate dalla brezza marina. Vediamo qualche titolo insieme.
Sicuramente uno dei grandi
capolavori di questa tematica è “il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, che
più che un racconto sembra quasi essere un saggio sul destino dell’uomo perso
nell’infinita (e solitaria) vastità della sua esistenza, una sfida primordiale
tra l’uomo e se stesso, piuttosto che tra l’uomo e la natura. Doveroso poi
menzionare altri grandi classici come “Moby Dick” di Herman Melville, un libro
dai contenuti quasi biblici per l’elevata caratura morale che lo
contraddistingue e dicasi lo stesso per un’altra opera del medesimo autore come
“Billy Budd il marinaio”. Ma accanto a Melville va poi citato Joseph Conrad che
naviga sulle rotte delle parole contenute in alcuni capolavori quali “Lord
Jim”, “Tifone” e “La linea d’ombra”.
Ma fin qui
abbiamo citato i passi obbligati di chi vuole scoprire la letteratura di mare. Per
andare un po’ più oltre conviene addentrarsi nelle acque alte del grande
Patrick O’ Brian, l’autore della saga del capitano Jack Aubrey, che conta ben
21 libri (anche se l’ultimo è incompleto) di cui uno nel 2003 ha avuto una
fortunata trasposizione cinematografica con il film “Master and commander” con
Russel Crowe nei panni del protagonista. Questa saga è forse la più
affascinante che un appassionato di mare possa mai leggere, arricchita da una
attenta ricostruzione storica e un’ottima conoscenza della materia: il lettore
che si immerge nelle sue pagine si ritroverà a vivere in pieno l’atmosfera
della marina inglese del XIX secolo.
O’ Brian deve
a sua volta molto al grande capostipite delle avventure della marina inglese,
il capitano Horatio Hornblower, protagonista della saga scritta da Cecil Scott
Forester e che consta di 11 libri. Di tale saga esiste una miniserie televisiva
britannica di 8 puntate.
In ultimo, e
scusandoci con scrittori come Stevenson non citati per motivi di spazio, va
menzionato il contemporaneo Björn Larsson, grande appassionato di barca a vela (dove
tra l’altro ha scritto molti dei suoi romanzi) che si è fatto conoscere al
grande pubblico con opere quali “il cerchio celtico”, “la vera storia del
pirata Long John Silver” e “la saggezza del mare”. Il suo stile è molto
interessante e forse leggermente più coinvolgente per il lettore di oggi che
potrebbe avere un po’ di difficoltà a prendere confidenza con i termini
marinareschi dell’800. Larsson – nonostante inserisca molti elementi storici –
tende a strizzare l’occhio alla modernità, ma in effetti il soggetto dei suoi
libri resta il mare puro, quella sconfinata distesa di acqua che si stende da
occidente a oriente e che nella sua immobilità sembra non avere uno spazio o un
tempo nel quale essere collocato.
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