Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

venerdì 3 gennaio 2014

Le cronache dell’acqua e del fuoco (A song of fire and water)







A dicembre, si sa, siamo tutti più buoni e gironzoliamo in giro con sorrisi e auguri da elargire a piene mani, che tanto non costano niente e inoltre con la ritualità del “buon anno!” ci pariamo le spalle col prossimo per i successivi 365 giorni. E di rimando stiamo lì a ringraziare; anzi, a volte bruciamo sul tempo e anticipiamo i ringraziamenti tanto che prima o poi restiamo amabilmente a corto di persone e/o lontani conoscenti ai quale versare un dovuto – seppur minimo – tributo di parole.

Io invece, che con le persone non ho molto da spartire, preferisco ringraziare le cose. A volte neanche ci rendiamo conto di quanto gli oggetti della nostra quotidianità siano importanti e vitali per noi. Ma prima del camino che ho in salone, o del lavandino che ho in bagno (siano benedetti) sarebbe da ringraziare qualcosa di ancora più primevo, antico e nobile. E così, in questo ultimo, ecumenico mese dell’anno, invito un po’ tutti e fare un piccolo sforzo e – con la massima serietà – provare a ringraziare non il camino o il lavandino, bensì il fuoco e l’acqua che vi sono dentro. Spesso noi dimentichiamo che in fin dei conti questo tanto famoso “essere umano” in realtà altro non è che un mucchietto di ossa, carne e sangue e che con tutti i millenni di vita che si porta sulle spalle, non ha saputo scoprire una tecnologia che gli possa permettere di fare a meno di questi elementi. Non è curioso notare quanto in realtà siamo fragili e deboli, legati alla necessità continua di bere e ripararci dal freddo? Nonché di respirare, per buona concessione della nostra sorellina aria, e di mangiare, per generosa offerta di mamma terra.

Dunque vale la pena di ringraziarli tutti, questi quattro elementi. E io, dopo anni e anni di studio, non sono ancora riuscito a trovare un “grazie” più sincero, bello e profondo di quella che io considero una delle migliori – se non la migliore – tra le poesie mai scritte dall’uomo. La potete trovare nelle prime pagine di qualsiasi libro di antologia italiana, e la nostra letteratura può ben vantarsi di iniziare in un modo così squisito e intenso. E’ stata composta nel Duecento ed è conosciuta come “Cantico delle creature”; a scriverla fu il più nobile dei santi, perché il più povero: Francesco d’Assisi.

In duemila e passa anni di letteratura italiana, non troverete un modo più completo e suggestivo per  descrivere il mondo che ci circonda. Niente vi potrà mai raccontare l’acqua in una maniera più commovente di quella che fanno quattro semplici aggettivi: “utile”, “humile”, “pretiosa”, “casta”, né potrete mai sperare di concepire il fuoco in una maniera più vivida e potente dopo che il patrono d’Italia vi ha detto che esso è “bello et iocundo et robustoso et forte”. Non c’è una sola singola sillaba di queste parole che non sia perfetta. Sembra quasi di vederli lì davanti a noi: l’acqua che impalpabile, quasi eterea, ci scorre tra le mani, e il fuoco che prorompe dalle tenebre e con instancabile possanza divora il legno e il buio, danzandoci davanti.

Perché a Natale, o a capodanno, quando sarete in preda a tutto ciò che queste feste nel bene o nel male ci impongono di fare o di dire, non riservate due minuti alla lettura di questa poesia? Fatelo, date un senso a voi stessi, date un senso a questo bisogno di stare insieme in determinati momenti. Date un ruolo e un grazie alle cose: ringraziate la finestra che vi fa da barriera al freddo e ringraziate il calore del fuoco. Ringraziate il mare, che anche se non seminato, dà frutti in abbondanza.

Per noi che ormai siamo abbastanza insensibili da diventare quasi uomini di ferro,  lasciamoci scorrere un po’ di puri e semplici sentimenti dentro. E state tranquilli: non c’è il rischio di arrugginire.




(In questo articolo sono nascosti 5 riferimenti alla saga di George R.R. Martin, “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”: trovali tutti!)

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