La vecchia Europa che travia la giovane America o la viziata America che
corrompe l'austera Europa? Assolutamente nessuna di tutte e due.
"Lolita" è storia di passione che non fa altro che continuare a guardare
sempre e solo sé stessa, come se si stesse narcisisticamente rimirando
allo specchio. Tutto è strutturato per ruotare attorno ad un unico punto
e per esso si snodano trame e personaggi. Sin dall'incipit (che
peraltro ritengo uno dei migliori di sempre) ci si adagia in un mondo
particolare in cui ciò che è avvolgente diviene soffocante e ciò che è
caldo diventa asfissiante. C'è chi ha tacciato il libro di smodata
intensità, come di ricerca del morboso. Ma indubbiamente "Lolita" è
una ricerca (che probabilmente parte da un omonimo racconto di Heinz
von Lichberg pubblicato nel 1916), e appare quasi come un esercizio
tecnico a metà tra uno studio letterario e il divertissement
stilistico (pensiamo a Nabokov grande ammiratore di Carroll che, come
lui, gioca in continuazione con il montare e smontare le parole). Ciò
che davvero non c'è in questo testo è la psicologia (non dei personaggi,
per carità, quella straborda, ma si intende la psicologia in senso
stretto). Quella è stata spalmata a posteriori un pò dagli stantii
intellettuali dell'ultimo Novecento e un pò dai freschi perbenisti
dell'ultima ora. Uno degli ultimi grandi esemplari del tema eros e thanatos,
"Lolita" è sicuramente pietra miliare non solo del genere, ma della
letteratura in generale. E alla fine di tutto, rimane un'opera che
sfiorisce alquanto se la si consuma tutta nel fuoco di un'analisi troppo
serrata, ma che va letta accomodati sulla sua spinosa mollezza,
distendendosi tra le pagine di baci impudichi, rubati nel buio di vite
inquiete e differenti che si incontrano soltanto nella silente
accettazione dell'illecito.
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