Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

lunedì 15 dicembre 2014

Giuseppe non me lo scordo


Io che del periodo delle bombe ho visto solo gli ultimi due colpi di coda (l’attentatuni di Capaci e lo squarcio di Via D’Amelio), io che non appartengo agli anni in cui San Benedetto Val di Sambro brillò di notte né alle 10:25 di Bologna, io che non ho respirato l’aria di Vittorio Occorsio, di Mario Amato, di Rocco Chinnici.

Io sto qui ancora a meravigliarmi e rodermi il fegato, di fronte alla realtà nuda e inquietante che dopo decenni ancora non si sa nulla di tutto ciò. E se una volta il non sapere si limitava alla verità sugli episodi, oggi la cosa peggiora, perché di tutto quello citato sopra la mia generazione si limita a non saperne niente e basta, condannando all’oblio non solo la giustizia, ma la nostra coscienza stessa di cittadini.
Pensa ad altro, la mia generazione. Pensa a come colmare il vuoto che ha dentro con il vuoto che li circonda. A me invece basterebbe solo avere delle risposte. E la prima sarebbe quella alla domanda storica: “chi ha suicidato Giuseppe?”. Ecco, partiamo da lì. Troviamo qualche nome. Ma nomi veri, non quelli forniti da chi all’epoca ha depistato, con successo.
Troviamo i nomi dietro i nomi. Prima quelli urlati con forza subito dopo l’epiteto “camerata”, tanto per trovare le mani, e poi quelli che iniziano con le sigle, “Don” e “On.”, tanto per trovare le menti.
E poi mi piacerebbe che a Giuseppe lo Stato gli dedicasse un treno.
Ma può uno Stato dedicare qualcosa a qualcuno, se di quel qualcuno è esso stesso il carnefice?
Se quello Stato è lo Stato italiano, a quanto pare sì.
Non un treno, ma una lapide gliel’ha dedicata. Italia, Paese di lapidi, cimitero di nomi; perché i morti non parlano e sottoterra la verità sta nascosta per bene.
Una lapide anche per Giuseppe. Bianca, immacolata, ingenua. Come se lui fosse morto tra le lenzuola.
Per fortuna qualcuno le ha dato una pennellata di colore



15 / 12 / 1969 – Giuseppe Pinelli precipita dalla finestra del quarto piano della questura di Milano. Sin da subito si capisce che è un finto suicidio: qualcuno lo ha spinto. Non è stato Calabresi.

E’ stato lo Stato.

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