Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

lunedì 22 giugno 2015

Intervista a Roberto Recchioni

D. D. “Dylan Dog” ha subito un cambiamento, un’evoluzione: in qualche modo è andato avanti adeguandosi ai tempi, adottando la strategia di case editrici come la Marvel, che tende ad aggiornare i supereroi proprio per non distaccare troppo la realtà del fumetto da quella dell’attualità. Questo processo ti ha fatto temere di snaturare il personaggio oppure lo hai vissuto come un fenomeno del tutto normale?

R. R. No, io non credo che abbiamo ripreso gli stilemi Marvel. La Marvel azzera i personaggi, li fa ricominciare perché di solito il personaggio ha un calo di vendite. Dylan Dog è sempre stato un personaggio che sin dalla sua origine è stato nel mondo presente: andava al cinema e vedeva i film che c’erano in quel momento preciso. Succedeva nell’86 e poi è andato avanti fino al 2000; poi a poco a poco si è un po’ adagiato in un “non mondo” e quello che abbiamo fatto è stato riportarlo all’idea originale, cioè un personaggio che vive nell’epoca presente ma è un’operazione radicalmente diversa da quella Marvel, non vuole essere in nessuna misura uno stravolgimento, anzi, è un ritorno alla formula originale.

D. D. Buona parte del successo di Dylan Dog è stato anche dovuto al fatto che gli anni ’80 – il periodo in cui è nata la testata – sono stati un po’ gli anni in cui l’orrore e la paura hanno avuto tanta linfa e tanto seguito. Oggi i registri narrativi della paura sono inevitabilmente diversi e forse proprio i fumetti sono il media in cui attecchiscono di meno, soppiantati da altri media più immediati e “reali” come il film o il videogioco. Secondo te oggi come oggi il fumetto è ancora capace di trasmettere il senso della paura?

R. R. Ma io non penso che Dylan sia legato soltanto all’orrore e alla paura perché se così fosse sarebbe sparito insieme a tutte le testate analoghe che nacquero negli anni ’80 sull’onda della moda e dello splatter. Invece Dylan è rimasto, segno che il suo successo dipendeva da qualcos’altro, dipendeva dalla scrittura di Tiziano (Sclavi, creatore di Dylan Dog, n.d.a.), dipendeva dalla bontà del personaggio, dal fatto che all’interno del fumetto c’erano mille registri diversi. In quanto all’orrore, è declinabile sempre, quest’epoca è perfetta per la declinazione dell’orrore. Il fumetto è un linguaggio come un altro, la bontà del fumetto nel raccontare l’orrore e la paura dipende solo dalla bontà dei suoi sceneggiatori

D. D. In ultimo, passiamo a “Orfani” il lancio editoriale di cui sei autore. Abbiamo visto che c’è una seconda stagione (il fumetto è diviso in stagioni, come un serial televisivo n.d.a.) in parte ambientata qui a Napoli: la città è stata scelta per un motivo particolare o semplicemente per il fascino che può avere in sé?

R. R. Io amo molto Napoli. Ho esordito con le pagine dell’Eura (casa editrice, n.d.a.) venti anni fa con una serie che si chiamava “Napoli ground zero” e che era una serie di fantascienza a cui “Ringo” (la seconda stagione di “Orfani”) si ispira. La storia doveva partire dal Sud verso il Nord, quindi Napoli mi è sembrata la città perfetta. E poi Napoli è già quasi una città del futuro, ma di quel futuro alla “blade runner”

D. D. Un po’ un limbo del futuro…

R. R. Sì, esatto, un limbo del futuro dove convivono mille tendenze, mille culture, mille società che si mescolano con l’alto e il bassissimo. E’ già una rappresentazione di un certo tipo di futuro.




(Roberto Recchioni è nato a Roma il 13 gennaio 1974. Sceneggiatore e disegnatore di fumetti, ha lavorato con Rizzoli, Magic Press, Panini, Disney e Bonelli, per la quale attualmente sta curando la gestione di “Dylan Dog” e “Orfani”, serie da lui ideata assieme al disegnatore Emiliano Mammucari.)

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