Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

venerdì 24 maggio 2013

Quasi un film neorealista

Io lavoro in una biblioteca pubblica.
C’è una signora, in questa biblioteca. Una dipendente che possiamo chiamare signora X. E’ sui 55, magrolina, capelli corti. E non ci sta più tanto con la testa. Arriva la mattina alle 9, si siede alla sua scrivania e sta ferma lì, fin quando non arriva l’ora di uscire alle 14.
Di tanto in tanto le fanno fare qualche fotocopia, il più delle volte le passano davanti e sorridendole le chiedono come sta.
Per il resto, lei sta seduta alla scrivania. Metà del tempo lo passa in silenzio, l’altra metà lo passa mormorando tra sé e sé. A volte addirittura alza la voce senza rendersi conto.
Tutto intorno a lei c’è un clima di benevola compassione. A volte si intuisce una frustrazione di fondo, perché oggettivamente parlando lei non lavora e percepisce lo stesso stipendio di chi lavora e soprattutto percepisce una retribuzione più grande degli stagisti sottopagati legati a tempo determinato.
Perfino io, che lavoro nella stessa stanza con lei, più di una volta ho trovato insopportabile il suo continuo borbottare che di certo non aiuta quando svolgi un lavoro di catalogazione e hai bisogno di essere ben concentrato.
Poi qualche giorno fa è successo un qualcosa.
C’è una stagista in questa biblioteca. Una laureanda occhialuta, spigolosa e saccentella. E’ una specie di incrocio tra la “maestrina dalla penna rossa” di De Amicis e la signorina Rottenhmaier, con in più il carisma della Gelmini e la simpatia della Santanché. Mi parlava, l’altro giorno, e nel mentre lo faceva indicava con lo sguardo e un cenno della testa X che borbottava dietro di lei.
E rideva. La cosa la divertiva.
Questo mi ha colpito molto, perché la prima cosa che ho pensato è che il continuo borbottio a me non faceva ridere, al massimo mi indisponeva, ma ridere no. Non ci trovavo e non ci trovo nulla da ridere, eppure io sono il tipo che adora farlo.
Ma soprattutto, non ci trovavo niente di così bello in questa risata da volerla condividere con altri.
L’episodio in questione, oltre a confermarmi che la ragazza di cui sopra sia un’idiota da sciogliere in acido il prima possibile, mi ha fatto riflettere sulla signora X. Improvvisamente, mi sembrava assumere le stesse sembianze di un personaggio pasoliniano, misero e poetico allo stesso tempo. Ma più che soffermarmi intellettualmente sulla poesia, ho sentito sotto i denti il sapore ruvido dell’umanità, perché ho iniziato a chiedermi quale fosse la vita di X, quale la storia, quali i pensieri. Che effetto faceva stare seduta lì a quella scrivania ore intere e guardare la vita passarti davanti? Quanto la signora X riesce a percepire di quello che le persone pensano davanti e dietro di lei?
E poi, dopo aver pensato queste cose, non ho potuto fare a meno di notare la tristezza nei suoi occhi, di quanto essi siano spenti, mescolati ai colori smorti delle costine dei libri allineati in perfetto ordine sugli scaffali. Tutti questi libri intorno a lei che grondano parole, personaggi, eventi, luoghi e mai nessuno racconterà la sua storia.

2 commenti:

  1. ma in qualche modo tu lo hai fatto. :)

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  2. Vero, ma mi sento un po' come qualcuno che ha raccontato il finale, non la storia vera e propria. Comunque dopo aver letto il tuo commento mi sono sentito effettivamente più sollevato.

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