Si inizia a leggerlo e dopo le prime pagine, la divertente rivelazione
del titolo. Trattasi si di uno scrutatore, ma come lo si è inteso,
leggendo? E' uno scrutatore nel senso di osservatore? Uno di quelli che,
appoggiati ai vetri delle finestre, vedono la vita scorrere, le mamme
che vanno a prendere i figli a scuola, gli uomini incappottati a testa
bassa che chissà cosa bofonchiano e cosa pensano? O molto più
pragmaticamente lo scrutatore di un seggio elettorale, chiamato dalla
politica a fare il suo servizio civico? Qualsiasi delle due, è una mezza
verità, perchè Amerigo Ormea lo è entrambi, e le sue "scrutate" le fa
sia davanti alle cabine elettorali, sia alle finestre della scuola dove
si svolgono le votazioni. E nella sua giornata, ecco affacciarsi
pensieri, entusiasmi, passioni e rassegnazioni del suo dovere pubblico e
della sua vita privata. Un bell'affresco di piacevole ma anche
disagevole intimità, negli anni in cui le grandi ideologie iniziavano
già a traballare, e gli scricchiolii non solo dei partiti di destra (eh
si, tempo fa, non vergognandosi delle proprie idee, si dichiarava il
proprio pensiero senza censurarlo con il suffisso "centro...") ma anche
del P.c.i. E questa increspatura sociale la rivediamo nella joyciana
unica piccola giornata di quest'uomo che si sveglia con le grandi masse
alle spalle per poi ripiegare la sera nell'intima incertezza della sua
vita sentimentale. Contadini e operai diventano sempre più opachi e
assumono la forma della sua ragazza, lasciando il posto ai piccoli
tormenti di uno spinoso rapporto di coppia. In una (forzata, si, ma
concedetemelo) lettura attuale, il libro può mostrare come è stato
permesso che il partito comunista morisse e dalle ceneri di Gramsci
nascesse, contrariamente a quanto si sperava, il partito dell'amore.
P.S. Quando ho scritto tutto ciò correva l'anno 2010 ed eravamo agli inizi di aprile. Ebbene, in quei giorni - che ormai sembrano tanto lontani - Berlusconi, reduce da un modellino in scala del Duomo di Milano in faccia, si stava riscostruendo una verginità politica proponendo il Pdl come il "partito dell'amore", dato che lo slogan di quel momento era che "l'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio" (lo so, mi imbarazza scriverlo, ma giuro che qui in Italia abbiamo avuto anche roba del genere). Alla luce di questo dettaglio, potete capire meglio il senso dell'ultima frase della recensione.
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