Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER

domenica 19 luglio 2015

ISTANTANEE - momenti del Giffoni Film Festival in un battito di ciglia - MARTIN FREEMAN



La tensione è forte in sala stampa. In attesa dell’arrivo di Freeman ci viene comunicato che lui non vede l’ora di parlare con noi. Eroe audace. Freeman è stato il protagonista di una trilogia che è stata campione d’incassi al botteghino, interpreta con grande successo il dr. John Watson nella serie “Sherlock” ed è infine entrato nel cast di “Civil War”, uno dei capitoli più attesi della saga Marvel cinematografica: con queste credenziali qualsiasi giornalista al mondo lo spolperebbe vivo (o meglio, qualsiasi giornalista serio, dato che il tizio seduto accanto a me in sala conferenze scorreva Wikipedia col ditino sul tablet per vedere che ruolo aveva in “Sherlock”. Sì, questa è una nota di polemica).
Arriva in sala e sin dai primi passi si capisce quanto sia “british”: compunto, elegante ma sobrio, un accento sul quale ti ci puoi quasi sdraiare sopra, e un umorismo delicato, sottinteso ma comunque in qualche modo pungente (“hai fatto molti ruoli diversi” - gli si chiede – “senti che ti manca qualcosa?”. “No”, risponde in maniera serissima ma chiaramente ironica). Annuncia l’uscita di “Fun house”, film che sta girando adesso e che pare sia una sorta di commedia dai toni grotteschi sulla vita in Afghanistan durante la guerra, e scansa elegantemente (anche con risposte lunghe) domande sui rumors che lo riguardano, come quella sul ruolo che avrà in “Civil War” (e che ha rivelato – ma chissà se è vero – essere un personaggio minore appartenente al governo americano), o un’altra su una sua possibile presenza in un progetto di Spielberg (e che lui rigira direttamente al regista americano, suggerendogli di scritturarlo). Chiestogli cosa ne pensa del cinema italiano, confessa di non conoscerlo bene e in questo si conferma il british di cui sopra: purista, corretto, manierato. Quasi una versione speculare del Mark Ruffalo che abbiamo visto ieri.
Ho la fortuna di potergli rivolgere una domanda e gli chiedo se ha trovato o provato difficoltà nell’interpretare un grosso personaggio della letteratura quale è John Watson, ma lui risponde dicendomi che l’ottimo lavoro degli sceneggiatori (Mark Gatiss e Steven Moffat) ha addirittura migliorato ciò che Arthur Conan Doyle (creatore di Sherlock Holmes) aveva già realizzato estremamente bene nella sua prosa, per cui sulla carta ne è uscito un personaggio chiaro, preciso, senza sbavature e lui non ha dovuto fare altro che attenersi al soggetto – per lui è molto importante leggere una sceneggiatura ben scritta – e mettere in funzione la sua bravura attorica.
In chiusura gli si chiede conferma della notizia che poco prima aveva rivelato alla giuria di giovani che ha incontrato, e cioè che il nuovo episodio della serie sarebbe stato in parte ambientato a Venezia. Lui, candido e sereno, dice “è una bugia. L’ho detta per dare una bella impressione ai ragazzi del festival”. Ma è ovviamente un tono umoristico, questo. E non tanto i ragazzi, quanto i giornalisti avrebbero dovuto sapere che anticipazioni del genere su serie e film di successo non si danno neanche al Comicon di San Diego, a meno che non siano gli autori stessi a volerle rivelare. Come tutti i grandi attori, riesce a essere attore anche nella realtà: God save Martin Freeman.   

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