Samuel Taylor Coleridge - THE RIME OF ANCIENT MARINER
mercoledì 22 luglio 2015
ISTANTANEE - momenti del Giffoni Film Festival in un battito di ciglia - LUCA DE FILIPPO
Fuori dalle passerelle, dai riflettori, dalle (giuste) promozioni
commerciali: il Giffoni Film Festival conserva ancora spazi culturali lontani
da tutto ciò. Se ne è avuta prova ieri, quando l’occhio grosso della stampa era
puntata su Tom Felton (l’attore che ha interpretato Draco Malfoy nella saga di
“Harry Potter” e fatto impazzire centinaia di ragazzine presenti), mentre
contemporaneamente un maestro del teatro italiano (ma non solo) incontrava i
membri della Masterclass, il settore di giurati che hanno superato i diciotto
anni. Il maestro in questione è Luca De Filippo, figlio di Eduardo, titano
della letteratura italiana che insieme a Dante condivide l’onore di essere
generalmente identificato già solo attraverso il nome e non il cognome, tale è
il suo apporto alla cultura del nostro Paese. Gradevole e piacevolmente illuminante, De Filippo
rispondendo alle domande imbastisce una vera e propria lezione universitaria
sul teatro, toccando argomenti altissimi (Gordon Craig e il suo concetto di
supermarionetta, la natura religiosa del teatro classico primordiale, la sua
liturgia laica) senza mai annoiare, perché non si è “maestri” a caso. Quando
parla è un grande fiume che scorre, placido ma inarrestabile e ti trascina
senza violenza avvolgendoti, conquistandoti e rinfrescandoti: “il teatro è un
mezzo democratico” dice “non può esistere senza interlocutori (il pubblico) e
soprattutto non si può controllare: accade e basta”. I ragazzi – decisamente attenti
– portano il discorso sul teatro di oggi, che è soprattutto un teatro statale e
dunque economico/manageriale; “il problema è che i teatri non sono più diretti
da artisti, ma burocrati. Non si può dare la gestione di un luogo di
immaginazione a persone senza fantasia”. A chi gli domanda del suo ruolo nel
mettere in scena i lavori del padre (e in generale di un autore) risponde “mi
sento come un burattino nella mani di un burattinaio che sono io stesso”. La
sua visione del teatro è sconsolante (“vedo un teatro borghese, compreso quello
che faccio io”), percependo una realtà triste, grigia, a tratti decadenti del
teatro italiano. E nel mentre ci illustra il rapporto tra teatro borghese,
teatro puro e realtà, ci omaggia di un premio inaspettato regalandoci una frase
che suo padre gli consegnò in merito: “cerca la forma e troverai la morte,
cerca la vita e troverai la forma”. Miracolo e magia: Eduardo ci consegna il
teatro di Eduardo spiegato, sviscerato ed esaurito in un solo motto. Il finale
di “Natale in casa Cupiello”, gli
stracci degli attori, la realtà dei quartieri napoletani (di una volta), la
tecnica attorica, l’amore, la passione, le urla sguaiate che sembrano uscite
dai vicoli, la mimica facciale, le pause teatrali, il dialetto napoletano che
scavalca se stesso per divenire lingua universale, la femminilità, la tragedia
eterna insita nella vita, la commedia e l’arte della commedia, la Napoli come
teatro della realtà che a seconda dei casi diventa Sicilia pirandelliana o
isola shakespeariana, gli interni borghesi contrapposti agli spaccati dei bassi
popolari: tutto ciò è condensato in quelle poche parole. Ancora una volta,
Eduardo vive e palpita attraverso le sue stesse parole e noi siamo in uno stato
di grazia perché consegnateci dalla persona che lo rappresenta meglio in
assoluto. Luca De Filippo, parentesi magnifica di un Giffoni non più
vetrina di ospiti ma teatro di cultura.
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